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Imboscata a Farah Ferito un parà italiano del Col Moschin

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Sarebbero queste le parole di Ustad Muhammad Yasir, liberato dalle prigioni afghane nell'ambito dello scambio con i talebani per la liberazione del giornalista di Repubblica Daniele Mastrogiacomo, in una conversazione telefonica con il figlio Omar. Il cinquantasettenne capo combattente talebano avrebbe quindi deciso di riprendere a combattere al fianco dei mujaheddin contro le truppe Nato presenti in Afghanistan. E quindi anche contro i soldati italiani come è avvenuto ieri pomeriggio nella zona di Farah nell'ovest dell'Afghanistan. Una pattuglia italiana del IX° parà «Col Moschin» in perlustrazione è stata attaccata e un sergente incursore è rimasto ferito nell'imboscata. E del resto il ministro D'Alema conferma all'Onu che la guerriglia avanza verso la Herat dove ci sono i nostri militari. La linea della trattativa ha avuto successo, Mastrogiacomo è libero e di nuovo con i suoi familiari, ma il prezzo potrebbe essere stato molto alto. Ne è convinto il senatore di An Alfredo Mantovano secondo il quale liberando cinque terroristi «l'Italia ha ceduto al ricatto». «Chi ha scelto questa strada provi a convincere il Parlamento che è la strada giusta e che porterà grandi successi alla lotta al terrorismo», ha poi sottolineato l'ex sottosegretario all'Interno. Stamattina il governo riferirà in aula al Senato sulla liberazione di Mastrogiacomo. Subito dopo le comunicazioni dell'esecutivo si procederà con la discussione del decreto di rifinanziamento delle missioni italiane all'estero. L'opposizione, ma anche esponenti della maggioranza, non mancheranno di chiedere spiegazioni sulle modalità del rilascio del giornalista. Alcuni esponenti politici come Maurizio Gasparri di An, e Daniele Capezzone della Rosa nel pugno avanzano interrogativi sul «prezzo politico» del sequestro Mastrogiacomo. In particolare, Gasparri chiede che sul tema il governo riferisca in Aula; mentre Capezzone dice che «appare chiaro che lo stato italiano tratta e paga o comunque accetta le condizioni di rapitori e sequestratori, anche quando ciò può creare tensioni nelle alleanze internazionali del Paese». La scelta dei mullah talebani di tornare a combattere cozza con quanto enfatizza Paolo Cento, sottosegretario all'Economia che sostiene che la conclusione di questa vicenda sia frutto di una «scelta pacifista». Nostra non certo dei talebani. Mentre i taleban inondano i siti islamici di dichiarazioni trionfanti come quel messaggio intitolato «Il ritorno nella mischia» a firma di Abdullah al Ibad, dove si racconta appunto del rilascio del leader talebano e del suo ritorno alla jihad , la guerra santa contro i kfir, gli infedeli, si apprendono nuovi particolari sulla conduzione delle trattative. Per ammissione dello stesso Gino Strada solo Emergency ha gestito il negoziato. «Ho preteso che Ros e Sismi stessero fuori dall'operazione», ha detto il fondatore di Emergency che non ha mancato di criticare Karzai per un atteggiamento, a suo dire, che ha rischiato di «far precipitare la situazione». Così la squadra di recupero del Sismi, quella che ha tirato fuori dai guai molti nostri connazionali e in Iraq e Afghanistan, è rimasta a casa. Non solo ma i carabinieri del Ros e i nostri 007 presenti a Kabul erano riusciti a triangolare le comunicazioni telefoniche e individuare la zona dove Mastrogiacomo era tenuto prigioniero. Escluso subito il blitz, l'informazione poteva servire qualora la situazione fosse precipitata. Ma i talebani si sono mossi meglio e hanno ottenuto quello che volevano. Grande ritorno mediatico e di prestigio militare. Mentre il ministro della Difesa Parisi evita a stento la polemica per «spirito di squadra» e poi a cose fatte ringrazia il Sismi. Così tornano le critiche sulla proposta di chiamare i talebani al tavolo della conferenza di pace. Paolo Bonaiuti, portavoce di Sivio Berlusconi, commenta: «Ma come si fa a trattare con chi sequestra gli ostaggi? E poi i talebani

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