I vertici del partito a Casini: «Vogliamo
E soprattutto nelle scelte politiche dovrà contare la forza elettorale di ognuno di loro. I «numeri due» di via Due Macelli ci proveranno oggi — durante il consiglio nazionale convocato alla Domus Pace a Roma — a dare una spallata a quella che hanno definito «la gestione monarchica del partito di questi anni». Un messaggio chiaro a Casini il quale, proprio ora che sembrava aver trovato una nuova intesa con Berlusconi, si trova alle prese con una specie di rivolta interna. Perché in pratica i «big» del partito chiedono di contare di più nel consiglio direttivo e soprattutto vogliono che a scegliere chi siede nella sala comandi dell'Udc non sia più l'ex presidente della Camera ma che la decisione venga presa in base ai numeri elettorali che ognuno porta in dote. Tradotto in soldoni significa la nascita ufficiale delle vecchie «correnti». Ma guai a chiamarle così: in vista del congresso nazionale che si svolgerà ad aprile e che dovrà eleggere il nuovo segretario, si parla piuttosto di liste. Che sono sempre esistite ma con un vincolo ben preciso: ogni lista deve appoggiare un solo candidato alla segreteria. Il consiglio nazionale di oggi potrebbe invece scegliere di scardinare questa regola e decidere che un candidato può essere appoggiato da più «correnti». Particolare tecnico di non poca importanza, perché significha mettere nero su bianco il fatto che che le liste hanno anche un peso nelle decisioni interne. La proposta, però, non piace per niente a Casini. Perché per lui sarebbe come ammettere che c'è un gruppo dirigente forte e soprattutto, commenta un deputato, «che non è più lui a decidere e a battezzare il prescelto con una pacca sulla spalla». E qualche segnale al leader è già arrivato. Nei giorni scorsi Mario Baccini si è tolto lo sfizio di mandare un messaggio molto chiaro al suo compagno di una ventennale carriera politica che si era lamentato di una certa tendenza al frazionismo interno al partito: «Non accetto che si usino parole care ai vecchi regimi leninisti per definire le nostre richieste. Guai a confondere frazionismo con la democrazia interna dei partiti». «Vorrei ricordare che Cesa venne eletto da un Consiglio Nazionale all'indomani di un trauma, le dimissioni di Marco Follini — sottolinea ancora Baccini — Allora ci fu una forzatura dell'ultimo momento e noi, obtorto collo, accettammo quella soluzione pur di evitare una spaccatura. Eravamo un partito del 3-4 per cento in cui la leadership venne decisa dall'alto sulla base di un sentimento di benevolenza e di riconoscenza. Oggi però il contesto è del tutto cambiato: siamo un partito del 7 per cento che si deve dare una struttura forte e sicura di regole certe per raggiunger il 10 per cento. In gioco non c'è la questione di chi ricoprirà incarichi interni al partito, quanto la consapevolezza che chi lo guiderà dovrà farsi garante di questo passaggio». Nel consiglio nazionale di oggi se ne parlerà ma non è detto che si decida. Però i «colonnelli» sono già pronti a dar battaglia, ognuno pronto a sbandierare il proprio peso elettorale dentro il partito. Baccini, fortissimo nel Lazio, ha con sè Bruno Tabacci e altri esponenti sparsi un po' in tutta Italia e potrebbe arrivare al 30 per cento, mentre Rocco Buttiglione, presidente del partito, si attesterebbe attorno al 20 per cento. Anche Salvatore Cuffaro, Governatore della Sicilia, potrebbe fare un lista che riunisce tutti i siciliani e puntare a un 15 per cento. Infine l'eterno sfidante alla segreteria, Carlo Giovanardi, anche lui con un «peso» attorno al 20 per cento. p.zappitelli@iltempo.it