Per Mastrogiacomo la situazione si complica
Ventiquattro ore di notizie altalenanti, di sospiri di sollievo e smentite. L'imminente liberazione del giornalista italiano in mano ai guerriglieri talebani che l'altra sera sembrava cosa fatta non è andata in porto. Colpa del buio forse, che ha fatto slittare lo scambio di prigionieri all'alba di ieri, o colpa di una trattativa fallita. Qualcosa deve essere andato storto, e questa volta non per colpa del buio. Il nodo da sciogliere resta infatti quello dei prigionieri del governo di Kabul di cui i talebani chiedono il rilascio in cambio della testa di Mastrogiacomo e del suo interprete afgano Adjmal Nashkbandi e probabilmente, in questo gioco di richieste, i talebani stanno alzando la posta. Il giornalista italiano si troverebbe ora in un villaggio della provincia di Helmand, nelle mani di una tribù locale, in attesa che le parti in causa riescano a soddisfare completamente le richieste dei guerriglieri. La notizia è stata data per telefono dal portavoce dei talebani Youssuf Ahmad alla Reuters e poi all'agenzia France Presse: «Abbiamo consegnato il giornalista italiano e il suo interprete ad alcuni capi tribù dopo la liberazione di Latif Hakimi e Ustan Yasar». La dichiarazione ha forse fatto pensare che Mastrogiacomo fosse stato liberato. Ma così non è stato nonostante la Farnesina abbia poi affermato di aver soddisfatto completamente le condizioni dei guerriglieri. Emergency ha invece smentito il ministero degli Esteri dicendo che le richieste dei guerriglieri non sono state soddisfatte e ha aggiunto che «il reporter di Repubblica è ancora detenuto e in pericolo di vita». La versione di Emergency è stata confermata dal comandante dei talebani Mullah Dadullah che all'agenzia afghana Pajhwok ha dichiarato: «Non rilasceremo Mastrogiacomo se il governo afgano non libererà tutti i detenuti, come richiesto». Shahabuddin Atal, suo portavoce, ha inoltre sottolineato che «tutte le notizie di un rilascio dell'ostaggio italiano sono prive di fondamento. Mastrogiacomo è ancora nelle nostre mani». Il «pacchetto» dei prigionieri che i talebani volevano per effettuare il cambio non deve averli soddisfatti, forse perché nel frattempo era cambiato. I guerriglieri avevano richiesto prima il rilascio di Abdul Latif Hakimi, Ustiad Yasir, detenuti in una prigione dei servizi di sicurezza del governo Karzai, e Mohamed Hanifi, considerato dai guerriglieri un traditore e al quale i talebani vorrebbero «chiedere chiarimenti» riguardo a una video confessione che avrebbe rilasciato. Da una parte Emergency e dall'altra Ibrahim Hanifi, luogotenente dei talebani nella provincia di Helmand, quella in cui si trova Mastrogiacomo, precisano infatti che all'appello delle richieste mancherebbe ancora un prigioniero politico del governo afghano, Mansoor Ahmad. Dalla Farnesina sono arrivate comunque rassicurazioni: «I progressi sono «positivi», il lavoro «continua intensamente». Le parole del ministero degli Esteri sono state confermate dal presidente del Consiglio Romano Prodi che uscendo nel pomeriggio da palazzo Chigi per una breve passeggiata e un caffè ha detto: «Stiamo lavorando per le poche cose che si possono fare oggi (ndr ieri), in Afghanistan lo sapete sta venendo il buio. In questo momento meno si dice meglio è», assicurando che a palazzo Chigi si sta lavorando ininterrottamente e che lui stesso ha parlato per l'ennesima volta al telefono con il presidente afgano Hamid Karzai. «Ma adesso - ha concluso il premier - chiedo il silenzio stampa proprio perché le cose possano essere fatte nel modo migliore possibile». m.vincenzoni@iltempo.it