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Fassino vuole la pace con il Mullah Omar

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La guerriglia come controparte. Berlusconi: i nostri 007 completamente isolati

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All'intervistatore dell'Unità che gli chiede «lei pensa a una conferenza di pace allargata ai Talebani?», il leader della Quercia replica: «Un vecchio aforisma della diplomazia dice che la pace si fa con il nemico, ed è difficile pensare a una Conferenza di pace che non veda sedere intorno allo stesso tavolo tutti i protagonisti, in modo che questi possano guardarsi negli occhi e decidere insieme come uscire da questa situazione drammatica». Il primo a rendersi conto del potenziale ritorno di fiamma è Giuliano Amato, che cerca di contenere prima ancora che gli avversari lancino anatemi. Se in Afghanistan tornasse il fondamentalismo dei talebani, dice il ministro dell'Interno, «questo ci riguarederebbe, eccome. Sarebbe pericoloso per noi. L'Afghanistan - ha osservato Amato - ci riguarda non solo per la solidarietà che abbiamo per le democrazie e le condizioni delle donne, ma anche per noi stessi, per i nostri interessi vitali». Nel tardo pomeriggio giungono finalmente le prime sfiammate dalla Cdl. Il primo è Fabrizio Cicchitto, che a nome di Forza Italia si dichiara «esterrefatto» dall'uscita leader della Quercia. «La proposta di Fassino - ha detto il vicecoordinatore di Forza Italia - di invitare i talebani alla cosiddetta conferenza di pace significa che i diessini hanno perso la bussola e sono allo sbando oppure sono disposti a dire qualunque cosa pur di avere il voto al Senato dall'estrema sinistra». Segue una sfilza di interventi sostanzialmente bipartisan, in cui si distinguono per curiosa omogeneità di registro le dichiarazioni del leghista Piergiorgio Stiffoni e del radicale Daniele Capezzone. «È una proposta sconcertante - dice il senatore del Carroccio - Aprire ai talebani la conferenza di pace è come una riedizione dei patti di Monaco del '38». Secondo Volontè dell'Udc, quello di Fassino sarebbe un totale cedimento al terrore dell'11 settembre. Ma la stoccata finale arriva a sera quando da Cernobbio al metteing della Confcommercio prende la parola Silvio Berlusconi. «Nella coalizione di governo - ha detto Berlusconi - non c'è accordo su nulla e non c'è unità in politica estera, come si vede nel caso del giornalista rapito. I nostri servizi sono isolati». Poi spiega: «I nostri servizi sono totalmente isolati, nessun paese lavora più con loro grazie all'intromissione che ha operato la magistratura». E ieri a Roma manifestazione organizzata dall'ala estrema della coalizione di governo. In quindicimila hanno manifestato innalzando striscioni per la «libertà di Mastrogiacomo» ma soprattutto slogan contro la guerra e il ritiro dei nostri soldati dall'Afghanistan. Il senatore comunista Fernando Rossi durante il corteo ha ribadito che «la guerra non la voto, quindi il mio orientamento è quello di restare in aula e votare no». Rossi ha comunque aggiunto che «se dovesse montare la polemica», per cui sia necessaria una maggioranza politica e non solo numerica in quel voto, «valuterò, anche con Turigliatto - ha detto -, la possibilità di uscire dall'aula». Il senatore ha anche stigmatizzato l'assenza alla manifestazione di rappresentanti dell'Arci, della Cgil e degli alti partiti di sinistra. Il leader dei Cobas Piero Bernocchi punta il dito: «Ai senatori che si sono fatti un nome con il movimento pacifista lanciamo un appello affinchè non si coprino di vergogna il 27 marzo, votando un'altra volta per la guerra». Durante tutto il corteo gli slogan prendono di mira l'Unione e persino il «comandante» Bertinotti. «Ci hanno fatto due scatole così con la non violenza, ma poi la non violenza di Bertinotti non si applica alle basi Usa, alle imprese, alla Nato». Dai microfoni di Radio Cobas, che accompagna il corteo pacifista nel centro di Roma, parte qualche contestazione nei confronti del governo, dell'Unione e del presidente della Camera. «Votate la guerra... parlate di pace... Giordano e Diliberto siete peggio dell'antrace...»

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