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I prodiani tremano e fanno quadrato: serve molto tempo

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Anzi, sotto sotto gli uomini vicini al premier prendono tempo, rilanciano, allargano l'orizzonte della riforma affinché i tempi e i termini siano più larghi. Insomma, detta brutalmente, temono che la nuova legge sia la tomba di Prodi. Temono che con la scusa delle nuove regole si arrivi a un accordo tra Ds e Udc o tra Ds e forza Italia che porti dritto dritto al voto subito dopo l'approvazione. D'altro canto in questi termini si esprime proprio Forza Italia con Giulio Tremonti: «Prodi è morto, ora bisogna tenere in funzione il Parlamento e non un governo che è già caduto, e dopo la riforma elettorale subito al voto». La disponibilità del partito di Berlusconi dunque c'è, anche se lo stesso Cavaliere dice a chiare lettere che non vuole larghe intese. E proprio per questo i prodiani doc rallentano sulla riforma. Franco Monaco, uno dei deputati più vicini al Prof, una sorta di portavoce dei parlamentari prodiani di stretta osservanza, la prende alla larga e spiega che non bisogna fare solo la riforma delle regole del voto, addirittura di tutto il sistema politico. «Sarebbe bene - spiega il deputato ulivista - non sfuggisse nel suo messaggio ai socialisti, Napolitano ha ribadito l'esigenza oggettiva di concordare non solo una nuova legge elettorale, ma anche adeguamenti istituzionali altrettanto essenziali a riformare il sistema politico, così da farlo più democratico e più funzionante. Merita notarlo, perché l'attenzione dei partiti sembra ossessivamente concentrata tutta e solo sulla legge elettorale e sul calcolo delle rispettive convenienze». Il programma di Monaco è vasto, forse impossibile da mettere in pratica in una sola legislatura: «È troppo chiedere - si domanda il prodiano - uno scatto di responsabilità e di visione per portare a compimento la troppo lunga e travagliata transizione italiana? Anche perché la connessione con bicameralismo, forma di governo, poteri del premier è oggettiva ed evidente». Interviene anche il Paolo De Castro, uno degli uomini più vicini a Prodi con il quale condivide un sodalizio almeno ventennale. De Castro parla poco, quasi esclusivamente della sua delega (le Politiche Agricole), stavolta invece si spende proprio - e guarda caso - per la legge elettorale. Innanzitutto per spiegare che non si può correre dietro al referendum che incombe: «Ogni volta che i cittadini sono chiamati a partecipare e a decidere è un bene per il Paese - dice l'ex presidente di Nomisma, il centro ricerche fondato da Prodi -. Il referendum ha il merito di aver aperto la discussione sulla necessità di cambiare questa legge elettorale». De Castro poi si schiera «dalla parte di chi sostiene che sia necessario cambiare». E aggiunge: «Mi auguro che il Parlamento affronti con serenità le opportunità che ci sono sul tavolo senza perdere di vista il bipolarismo, cui gli italiani si sono abituati e soprattutto senza perdere l'occasione di dare all'Italia una legge elettorale che consenta ai cittadini di scegliere chi deve governare e da chi devono essere rappresentati. La nuova legge elettorale - ha ribadito De Castro - deve rispettare due principi sacrosanti: dare stabilità ai governi e mantenere il bipolarismo». Bipolarismo, niente inciuci, scegliere chi deve governare. Per esempio con l'indicazione del premier, come vorrebbe Prodi e come non vorrebbe Casini e il modello tedesco a lui tanto caro. E non è neppure un caso che si faccia sentire l'ala estrema della coalizione, quella che teme l'emarginazione. «Prodi ha ragione. La legge elettorale deve essere fatta in Parlamento, insieme all'opposizione. Ci sono tutti gli estremi per trovare un'intesa. A meno che naturalmente, non ci sia chi mira a far fallire tutto nella speranza di aprire così le porte al referendum», sottolinea Giovanni Russo Spena capogruppo di Rifondazione comunista al Senato. «La legge elettorale - aggiunge Russo Spena - deve certamente essere modificata, ma non lo si può fare sotto la spada di Damocle del referendum.

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