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di MARZIO LAGHI SO CERCA la trattativa.

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E Prodi assicura che il governo non sta con le mani in mano: «Seguiamo non ora per ora ma minuto per minuto tutti gli aspetti della vicenda con la serietà e la discrezione che occorre in questi casi», ha detto ieri il presidente del Consiglio. Mentre il segretario dei Ds Piero Fassino ha sottolineato che «il governo sta facendo tutto quello che è necessario attivando canali e contatti in ogni direzione». E stasera un appello per la liberazione del reporter italiano sarà lanciato dagli schermi di Sky anche dall'ex imam di Milano Abu Omar Al Masri. La parola d'ordine, comunque, è riservatezza, e sul lavoro della diplomazia e dell'intelligence italiani per la liberazione di Daniele non filtrano né notizie né indiscrezioni. Dopo che alla Farnesina e agli 007 impegnati sul campo è giunta la «prova» che Mastrogiacomo è vivo e «indicazioni attendibili sugli autori del sequestro», si apre la delicata fase della trattativa. E su questo fronte il silenzio è assoluto. Non parla a Roma la Farnesina. Non parla a Kabul l'ambasciatore d'Italia Ettore Sequi. Non si fa vivo neppure il capo talebano Dadullah, nelle cui mani (ma non c'è nessuna certezza), dovrebbe trovarsi Mastrogiacomo. Ma i canali ci sono. Anche se Fassino precisa che «non esistono conferme dalla Farnesina su nessuna richiesta di trattativa». Il sottosegretario agli Esteri Bobo Craxi si augura che il giornalista «possa essere restituito ai suoi cari senza condizione alcuna» e torna sulla presenza militare italiana in Afghanistan e sul decreto di rifinanziamento della missione che deve essere approvato a fine mese al Senato. Craxi auspica che il Senato della Repubblica «mantenga fermi gli impegni assunti a livello internazionale evitando di screditare il nostro Paese dinanzi all'insieme della comunità internazionale che attende dall'Italia un atteggiamento fermo, autorevole e responsabile». Quanto i sequestratori che si nascondono insieme all'ostaggio nel sud dell'Afghanistan, probabilmente nella provincia di Helmand, siano sensibili agli appelli e ai messaggi che giungono dall'Italia, non è dato sapere. Come pure rimane poco chiara l'attendibilità dell'ultimatum lanciato ieri dal temutissimo Dadullah: via l'Italia dall'Afghanistan, con una data fissata entro sette giorni o lo uccideremo. Non si conoscono, ovviamente, quei «canali stabiliti» di cui ha parlato la Farnesina. Ma certamente nell'Afghanistan frammentato dei Signori della guerra e dei capi tribali - si sussurra a Kabul - entrambi possono essere un ottimo veicolo di comunicazione. E dall'Italia arriva ai «Fratelli talebani» anche il messaggio dell'ex imam di Milano Abu Omar che chiede: «Lasciate libero il giornalista italiano, non appena viene accertato che egli non è una spia» in nome del fatto che il popolo italiano ha aperto il suo cuore a me e ai musulmani residenti in Italia ed è contro la partecipazione del suo governo all'invasione dell'Iraq e dell'Afghanistan». Il mullah Dadullah, confermano molte fonti, è attento ai contatti con i media. E i taleban amano comunicare con video e messaggi. Sono probabilmente arrivate anche laggiù, verso il confine col Pakistan, le immagini del campionato italiano di serie A: in tutti gli stadi i calciatori sono scesi in campo indossando una maglietta bianca con una scritta semplice: «Liberateli». Il plurale fa riferimento ai due tecnici dell'Agip, Francesco Arena e Cosma Russo, ancora nelle mani degli insorti nigeriani. Infine, otto poliziotti afghani sono morti in un attacco di presunti taleban nella provincia di Kandahar, nel sud del Paese. Nello scontro sono morti anche cinque taleban.

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