Tipi sinistri
Oliviero: duro, puro e bastian contrarioÈ stato uno dei pochi a difendere «Telesantoro» facendo infuriare l'amico Mastella
Neanche tanto originale, considerando la «caratura» culturale del personaggio, docente ordinario di Giurisprudenza alla Sapienza, appassionato di libri antichi (in particolare di diritto romano) e autore di numerosi saggi. «Mi preoccupa l'assordante silenzio che ascolto nel centrosinistra verso il fiorire di attacchi a Santoro», ha dichiarato Oliviero Diliberto il giorno dopo l'abbandono in diretta dello studio di «Annozero» da parte di un Clemente Mastella imbufalito per la puntuale faziosità del conduttore. In barba a una doverosa premessa («non ho visto la trasmissione e quindi non posso formulare un giudizio»), il segretario dei Comunisti Italiani non ha mancato di schierarsi al fianco dell'ex eurodeputato, esprimendogli tutta la sua solidarietà. Espressioni che hanno fatto infuriare ancora di più il già fumantino leader del Campanile. «Ne prendo atto con molta amarezza e da questo momento vedo in modo molto diverso i rapporti politici», ha replicato acido il ministro della Giustizia. E a poco è servita la contro-replica amicale di Diliberto: «Dispiace che abbia considerato offensiva sul piano personale una nota tutta politica - ha spiegato - Non vedo nessun cinismo nelle mie parole e tantomeno viene messo in discussione il rapporto di amicizia, pur nella diversità, con Mastella». Fin qui la polemica di giornata. Che ha visto il segretario del Pdci tra i pochi a difendere «Telesantoro» e attaccare invece un ministro del suo governo. Ma Diliberto, nato emblematicamente nell'anno della repressione sovietica in Ungheria (il 1956) e chiamato «affettuosamente» Diliberia dai compagni che giocano sul nome del «purgatore» stalinista Laurentij Beria, non è nuovo a uscite del genere. È un uomo che sorprende. Un politico che ama differenziarsi (la linea che ha stabilito per il suo partito è basata sullo slogan «unità e diversità»). E che non usa eufemismi. La dimostrazione più recente di questa «schiettezza no limits» l'ha fornita durante un convegno sul revisionismo storico: «Non ho nulla a che vedere con Berlusconi - ha spiegato - E voglio farlo capire bene. Bisogna far vedere in tutti i modi che ci fa schifo. Insomma, va rimarcata la differenza...». Parole che, ovviamente, hanno scatenato reazioni sdegnate dal centrodestra. Il portavoce del Cavaliere, Bonaiuti, ha definito Diliberto «un burocrate d'altri tempi», aggiungendo di riferirsi «ai tempi di Giuseppe Stalin». Il centrosinistra, poi, ne ha criticato il cattivo gusto e l'asprezza del linguaggio. Un en plein bipartisan che, forse, non è neanche spiaciuto troppo al diretto interessato. Oliviero, infatti, ama stupire, spiazzare, creare scompiglio. E spesso ci riesce. Anche a costo di dare grattacapi ai suoi alleati. L'ha fatto molte volte, partecipando a manifestazioni contro il suo stesso esecutivo (è meno grave che lo faccia il segretario di un partito della coalizione governativa che un ministro della medesima, ma non è certo una scelta esente da contraddizioni) nelle quali «quattro imbecilli» che marciavano insieme con lui hanno scandito parole d'ordine come «10, 100, 1000 Nassiriya» e bruciato bandiere Usa e d'Israele. La trasgressività verbale di Diliberia ha travolto come un fiume in piena non solo il Berlusca (reo, tra l'altro, di aver «stretto le mani grondanti sangue» di Bush), ma pure gli incolpevoli martiri italiani in Iraq («Se ci avessero ascoltato non ci sarebbero stati quei morti»), l'ex «compagno» Bertinotti, accusato di favorire le «derive neocentriste» dell'Unione e di dialogare con i fascisti per aver accettato l'invito alla festa di Azione Giovani, e di nuovo il suo governo sul Libano («pura follia disarmare le milizie di Hezbollah»). Per non parlare del suo atteggiamento «duro e puro» sulla questione afghana e sulla base di Vicenza («spero che non sia il governo a voler far cadere se stesso», disse profeticamente lo scorso gennaio) e sulla nascita del Partito democratico («sposterebbe a destra il baricentro dell'Unione»). La verità è che Diliberto soffre di una visione Olivierocentrica.