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Legge elettorale, una partenza tutta in salita

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La novità, rispetto alla tornata precedente, è che ad affiancare Chiti (ridimensionandone il ruolo, tanto da spingere alcuni osservatori a parlare di ministro «esautorato») sarà lo stesso presidente del Consiglio. Come aveva fatto capire nel dibattito parlamentare sulla fiducia, Romano Prodi è deciso a giocare nel ruolo di protagonista assoluto la partita della riforma elettorale. Anzi, delle «riforme istituzionali», l'ambizioso obiettivo, che il premier condivide con Luciano Violante e Piero Fassino, è abbinare la revisione delle regole di voto a una modifica della Costituzione imperniata sul superamento del bicameralismo perfetto, sul potenziamento delle facoltà del capo del governo e sull'attuazione del federalismo. Martedì prossimo Prodi e Chiti incontreranno a Palazzo Chigi i capigruppo al Senato e alla Camera della Lega, Roberto Castelli e Roberto Maroni. «Sono in via di definizione, per i giorni successivi, incontri con le altre forze dell'opposizione, seguiti da quelli con i capigruppo della maggioranza», informa Palazzo Chigi. Una parola di sostegno alla sforzo avviato dal premier giunge dal presidente della Camera, Fausto Bertinotti. La riforma della legge elettorale, ha spiegato, è un «problema di volontà politica, ma io penso che questa ci possa essere». Il presidente di Montecitorio non si limita a una valutazione di carattere generale: «L'importante è partire, ma soprattutto partire bene, dalla responsabilizzazione e dall'assunzione di responsabilità delle commissioni in modo da ripartire ordinatamente le competenze». Un diplomatico riferimento al braccio di ferro in corso tra le commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato — e tra i rispettivi presidenti, Violante ed Enzo Bianco — per ottenere la priorità nella discussione della riforma elettorale. Secondo lo schema immaginato da Violante, il Senato potrebbe invece partire dalla riforma istituzionale (comprendente una profonda modifica della composizione e delle funzioni di Palazzo Madama, in nome dell'esigenza di differenziare i ruoli dei due rami del Parlamento). Secondo alcune ricostruzioni giornalistiche, nello sprint tra le due commissioni avrebbe prevalso quella presieduta da Bianco. Bertinotti sembra invece convinto che la gara sia ancora aperta: il presidente di Montecitorio accenna ai contatti in corso con il presidente di Palazzo Madama, Franco Marini, «per definire da dove partirà la legge elettorale e da dove partiranno invece le riforme costituzionali». Intanto il Senato stringe i tempi. E ad accelerare non è solo la maggioranza. È partito ieri il «tavolo della partecipazione» allestito dal vicepresidente del Senato, il leghista Roberto Calderoli, per smuovere acque che gli parevano pericolosamente stagnanti. Alla riunione d'esordio ha partecipato anche Bianco. Che secondo Calderoli potrebbe presto convocare in commissione a scopo consultivo il ministro Chiti «oppure, se sarà il caso, lo stesso Romano Prodi». Calderoli è convinto che ci siano «i tempi per fare una riforma entro l'estate e poi spedirla alla Camera prima della Finanziaria. Poi si può fare la terza lettura qui entro l'anno». Una tabella di marcia che disinnescherebbe la miccia del referendum elettorale, temutissimo dai piccoli partiti. A Montecitorio il varo del tavolo sulla legge elettorale non ha suscitato grandi entusiasmi: quella avviata da Calderoli «è una buona iniziativa anche se intempestiva e inopportuna», chiosa Gianpiero D'Alia, capogruppo dell'Udc in commissione Affari costituzionali della Camera. Si è infatti, ha proseguito D'Alia, in attesa della decisione dei presidenti di Camera e Senato sul percorso da fare per legge elettorale e riforme. Ma il percorso irto di ostacoli che dovrebbe portare a una nuova legge elettorale difficilmente potrà essere i

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