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Kabul, spari contro una pattuglia di alpini

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Nessun ferito. L'imboscata a Musay Valley, lo stesso luogo dove lo scorso anno furono uccisi due militari italiani

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Nessun militare è rimasto ferito. L'unità è riuscita a sganciarsi aprendo il fuoco. Afghanistan un paese in guerra. I nostri soldati, un contingente di circa 1800 uomini dislocati tra Kabul e Herat, ne sono consapevoli. Le misure di sicurezza sono al massimo livello. Le pattuglie si muovono con molta cautela e il dito è perennemente sul grilletto. Ma nessuno fa sfoggio di «muscoli». L'ordine che viene da Roma è «basso profilo». Finalmente sono arrivati i 36 Vtlm, i veicoli superblindati che dovrebbero garantire una maggiore protezione contro le mine. Ancora di là da venire le torrette blindate per i Puma che forse saranno disponibili la prossima estate. I fanti del 151° Sassari hanno preso possesso della base di Herat a Camp Vianini. Le uscite sono limitate allo stretto indispensabile. Incontri con i capi tribù e con il governatore locale. Ma tutti sanno che in Afghanistan «ogni sasso ha un emiro (capo) diverso». L'altro giorno una bicicletta esplosiva è stata fatta saltare poco prima del passaggio di una nostra pattuglia. Fuori Kabul lungo la Musay Valley, dove le pattuglie italiane hanno subìto diversi attacchi mortali, gioni fa i sassi, ieri pomeriggio colpi di kalashnikov dalle alture contro i mezzi italiani. «Siamo consapevoli dei rischi» si limitano a commentare i militari. Ligi agli ordini del governo e al mandato internazionale, i soldati di stanza a Kabul ed Herat continuano le attività umanitarie nonostante le battaglie che si combattono al Sud del Paese. Proprio ad Herat il personale della cellula Cimic del Provincial Reconstruction Team a guida italiana, ha effettuato la donazione di 500 libri alla locale biblioteca. Lo scorso 28 febbraio si è conclusa, nel Police District di Paghman a ovest di Kabul, l'operazione umanitaria denominata «Morbegno», dal nome del battaglione alpini di Vipiteno. Durante l'operazione sono stati distribuiti coperte e quasi una tonnellata di cibo tra riso, farina, olio, sale e zucchero. In totale sono state soddisfatte 120 famiglie tra le più povere di Paghman. Tutto questo impegno però non è sufficiente a tenere lontani i pericoli. Lo sanno bene i nostri soldati. Martedì 27 febbraio si è tenuto un incontro riservato tra i rappresentanti dei servizi segreti militari dei paesi Nato impegnati in Afghanistan. Tra questi c'erano anche gli italiani. Dalla riunione è emerso un quadro ben diverso sul futuro contesto in cui si troveranno ad operare i nostri soldati. Un contesto di guerra. I servizi alleati danno infatti per scontato che nei prossimi mesi i talebani porteranno la guerra anche nell'ovest. Il mullah Hayatullah Khan ha rivelato che mille kamikaze sono già stati inviati nelle regioni settentrionali e occidentali del paese dove presto entreranno in azione. E lungo la strada di Farah verso Helmand i 200 soldati delle forze speciali italiane si sono trovati coinvolti in diverse scraramucce con «insorgenti», parola diplomatica che vuole intendere ribelli di varia natura: narcotrafficanti come taleban. Il problema grosso, sarà se qualche pattuglia della Nato in difficoltà, sotto il fuoco talebano dovesse chiedere aiuto al comando italiano. Come forza Nato siamo obbligati a intervenire perché questo fa parte del trattato sottoscritto cinquant'anni fa. Mau.Pic.

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