Occhi ancora puntati sul Senato, si rischia una nuova crisi
Insomma, sul decreto che rifinanzia la missione in Afghanistan, in particolare alla Camera, non ci sono problemi. La maggioranza c'è. Sì, è vero, ci sono i dissidenti. Come Francesco Caruso che peraltro si assenterà al momento del voto, non si esprimerà contro. L'Unione, tuttavia, può contare su settanta voti di vantaggio ed è perfettamente autosufficiente. Eppure i lavori sono andati avanti con grande lentezza. Interventi su interventi, dibattito dilatato, i presidenti di turno (ieri soprattutto Castagnetti della Margherita e Meloni di An) hanno lasciato parlare, sfogare i deputati. Un atteggiamento che sicuramente Bertinotti ha gradito: in questo modo la protesta si parlamentarizza e la pressione della piazza, soprattutto quella di estrema sinistra, trova spazio negli stenografici di Montecitorio. Così, il decreto che ha appena una ventina di emendamenti, dovrà attendere oggi il via libera. Ma almeno si evita di aprire varchi ai cosiddetti movimenti. Insomma, si evita il ripetersi dello schema di Vicenza del mese scorso, quando il dibattito sull'allargamento della base è stato strozzato facendo emergere le divergenze in aula. Stavolta lo schema è al contrario. E anche se ieri Bertinotti non s'è visto in aula, è facile immaginare che se non c'è prorio la sua regìa con una precisa richiesta ai suoi vice, certamente il presidente della Camera sarà soddisfatto. Si guadagna tempo, dunque, anche nel tentativo di contenere le perplessità interne alla maggioranza in vista del dibattito al Senato, dove l'Unione dovrà dimostrare di essere di nuovo autosufficente. In pratica, dovrà dimostrare di poter raggiungere di nuovo quota 158 voti dei senatori eletti (a cui poi si possono aggiungere quelli a vita). Una tattica che comunque non è piaciuta al viceministro agli Esteri Ugo Intini il quale se l'è presa con l'opposizione: «Un provvedimento così importante dovrebbe essere esaminato in tempi più rapidi. L'opposizione poteva consentire che gli emendamenti fossero approvati nel giro di poche ore, e non in una intera giornata». Il dibattito comunque ruota intorno alla famosa autosufficienza della maggioranza dai senatori a vita. Ad accendere di più il clima l'intervista al Corriere della Sera del senatore della Margherita, Lamberto Dini, che sottolinea l'esigenza per la maggioranza di essere autosufficiente, in linea con le indicazioni del presidente della Repubblica. Il timore, nelle fila della maggioranza, è che in caso di mancata autosufficienza il presidente della Repubblica richiami al Quirinale il capo del governo. In altre parole si rischia una nuova crisi, sebbene il provvedimento non rischia la bocciatura perché alla Camera come al Senato a quelli dell'Unione si sommeranno anche i voti del centrodestra. Ma Giovanni Russo Spena (capogruppo di Rifondazione comunista a Palazzo Madama) si mostra sicuro: «Al Senato il voto sulla missione in Afghanistan otterrà senza dubbio il consenso di una maggioranza politica autosufficiente, e gli eventuali voti dell'opposizione saranno aggiuntivi. E questo è ciò che conta». Gli occhi sono puntati sul Senato (il decreto legge approderà il 27 marzo perché il problema si riproporrà in termini decisivi per la maggioranza. Secondo il segretario dell'Udc, Lorenzo Cesa, senza autosufficienza «Prodi ha il dovere di rassegnare le dimissioni». E Gianfranco Fini, il presidente di Alleanza nazionale aggiunge: «Se il governo non sarà più autosufficiente, la Cdl avrà una linea unica». «Mi pare un atteggiamento assolutamente strumentale» è la replica del segretario dei Ds Piero Fassino. Sicuro il leader della Rosa nel Pugno, Enrico Boselli: «I numeri ci saranno alla Camera e anche al Senato». Intanto, anche la politica rimane in attesa di notizie, che però ancora non arrivano, sul rapimento del giornalista di Repubblica Daniele Mastrogiacomo. Per Bertinotti, «lo scenario è sempre più preoccupante». Il decreto, che dovrebbe avere il v