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Mastrogiacomo, inviato di Repubblica sequestrato insieme con due afghani

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Il suo rapimento coincide con l'operazione «Achille», sferrata ieri dalla Nato proprio a Helmand - ultimo avamposto controllato dalle milizie del mullah Omar - per riprendersi la zona di Musa Qala, caduta a febbraio nelle mani della guerriglia. Sulla vicenda Mastrogiacomo - che in un primo momento era stato scambiato per un giornalista inglese dagli studenti del Corano che ne hanno rivendicato il rapimento - la procura di Roma ha aperto un fascicolo per «sequestro di persona con finalità di terrorismo», lo stesso configurato per il rapimento di altri italiani in zone di guerra. In serata, Romano Prodi ha presieduto una riunione del Ciis per fare il punto della situazione mentre il ministro degli Esteri Massimo D'Alema segue «personalmente» e in tempo reale la vicenda: la questione «ci preoccupa», ha detto il responsabile della Farnesina, che ha confermato anche come Mastrogiacomo sia caduto effettivamente nelle mani della «struttura militare» dei talebani e non di «banditi» che possano agire per «un riscatto». L'ultimo contatto con «La Repubblica» dell'inviato risale alle 21 di domenica scorsa. Già lunedì il quotidiano romano aveva perso ogni contatto con Mastrogiacomo, e aveva informato l'Unità di Crisi della Farnesina. Subito - ha riferito il sottosegretario Ugo Intini in aula alla Camera nel pomeriggio - sono stati attivati tutti i canali assieme all'ambasciata italiana a Kabul. Ieri purtroppo la conferma: un portavoce dei talebani, Qari Yussuf Ahmadi, ha comunicato che, assieme ai due afghani che l'accompagnavano nel distretto di Nad Ali, è stato «arrestato un britannico che lavora per un quotidiano italiano». Un equivoco - quello sulla cittadinanza del cronista - probabilmente sorto dalla perfetta padronanza della lingua inglese da parte di Mastrogiacomo, assieme al suo luogo di nascita (Karachi, in Pakistan). Ma il cronista, questo è certo, viaggiava con passaporto italiano. «Loro ci hanno detto di essere giornalisti - ha riferito alla France Press il portavoce degli studenti del Corano - ma noi pensiamo che siano spie degli inglesi, e ora li stiamo interrogando». Ad ulteriore conferma del rapimento del giornalista italiano il fatto che i nomi dei due afghani fermati assieme all'inviato di Repubblica coincidono con quelli dell'autista e dell'interprete che in questi giorni accompagnavano Mastrogiacomo nei suoi spostamenti. Nei giorni scorsi l'inviato aveva annunciato al suo giornale che presto avrebbe avuto «incontri delicati»: Mastrogiacomo era arrivato in Afghanistan il 28 febbraio e subito aveva raccontato di aver trovato «una tensione molto più forte» di quella avvertita alcuni mesi fa, quando già era stato nel Paese. «Al mio arrivo in aeroporto - aveva riferito - casualmente ho incontrato un funzionario dei servizi di sicurezza afghani che mi ha subito confidato i propri timori e l'allarme che ha suscitato l'attentato a Cheney». Nella redazione del quotidiano romano sono ore di grande ansia e preoccupazione, mentre le forze politiche hanno messo da parte ogni polemica, assicurando al governo il massimo di unità per consentire a Daniele Mastrogiacomo di tornare a casa sano e salvo. Mastrogiacomo, 52 anni, sposato e con due figli, è un inviato di lungo corso, ha seguito per il suo giornale le guerre in Afghanistan, in Iraq, in Libano, in Somalia e si è trovato spesso in zone di conflitto. Già nel giugno del 2004 era sfuggito ad un'imboscata che lui stesso aveva raccontato dalle colonne di Repubblica mentre nel 2006 gli è stato assegnato il premio giornalistico nazionale «Maria Grazia Cutuli»: la cronista del «Corriere della Sera» assassinata insieme al collega spagnolo Julio Fuentes proprio in Afghanistan nel febbraio del 2001. Altri due italiani sono finiti nelle mani dei talebani dal 2005 ad oggi. Due casi di sequestro che, per f

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