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di MARZIO LAGHI IL VERTICE notturno sull'Afghanistan sembra dare i suoi primi frutti.

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O quantomeno di partenza per un ricomponimento della spaccatura fra governo e ala radicale della coalizione. Giordano, Diliberto e Pecoraro Scanio hanno chiesto «discontinuità». Prodi ha replicato con la proposta di una conferenza internazionale per trovare soluzioni politiche al problema afghano. Basterà questo alla sinistra estrema di lotta e di potere per votare «sì» al decreto di rifinanziamento della missione? O la caparbietà del Professore nel rifiutare riduzioni del contingente militare italiano e nell'evitare di decidere un'«exit strategy» precisa per il ritiro delle nostre truppe sarà considerata un segnale negativo e costringerà, di riflesso, Palazzo Chigi a porre la fiducia sul provvedimento? probabilmente anche questa volta, alla fine, l'Unione riuscirà a superare lo scoglio dei contrasti interni. Intanto, però, la Cdl ribadisce il suo «no» nel caso l'esecutivo ponga la fiducia. «Non ci sarà un impegno maggiore di truppe ma non ci ritiriamo dagli impegni assunti. Rispettiamo gli accordi - ha detto ieri Prodi dalla Turchia - In Afghanistan l'impegno è chiaro ma noi spingiamo verso una duplice direzione che completi la presenza: l'aumento di operatori civili per la ricostruzione delle istituziono e la riorganizzazione della società stessa, compreso il problema della droga (il Prc aveva chiesto un piano per l'utilizzazione dell'oppio prodotto nel Paese asiatico a fini terapeutici Ndr). E una conferenza internazionale che prospetti soluzioni politiche», ha aggiunto il premier. Un duplice obiettivo da affiancare all'impegno già definito del contingente militare in Afghanistan. Sullo stesso binario sembra muoversi il responsabile della Farnesina, il quale ieri da Bruxelles ha riferito che il segretario generale della Nato Jaap de Hoop Scheffer non ha chiesto altre truppe all'Italia per la missione Isaf. Massimo D'Alema ha confermato che il governo presenterà nei prossimi giorni un decreto di rifinanziamento delle missioni italiane nel mondo. Un provvedimento che «confermerà il nostro impegno sul piano militare ed estenderà il nostro impegno sul piano umanitario e civile», ha detto. Insomma, gli spiragli d'intesa nella maggioranza sembrano allargarsi dopo la riunione notturna voluta dal capo del Governo. E le posizioni delle varie anime dell'Unione appaiono meno distanti. Il leader dei verdi ha già sottolineato che nel governo c'è «la buona volontà di dare un segno di discontinuita». Resta sul tavolo la questione dei tempi della «exit strategy». E resta il dissenso di alcuni esponenti della «Sinistra critica», minoranza di Rifondazione, che chiedono di votare «no». Per Salvatore Cannavò e Franco Turigliatto, rispettivamente deputato e senatore Prc-sinistra critica, la missione in Afghanistan «sta fallendo miseramente» e «lo stesso ruolo della Nato non si spiega né si giustifica in un tale contesto se non come strumento di dominio e di controllo geopolitico». In questo contesto, dunque, «le rassicurazioni del governo non rassicurano per niente. Proporre una conferenza di pace o aumentare l'intervento dei civili è inutile e sbagliato se non si decide di avviare il ritorno dei militari e di dichiarare fallita l'ipotesi della guerra condotta dalla Nato». A giudizio di Cannavò e Turigliatto «non è con la politica delle concessioni formali che il governo può risolvere questa vicenda». Perciò, esortano, «il nostro partito, il Prc, e tutta la sinistra pacifista non devono votare questa missione. Noi non siamo intenzionanti a farlo». Intanto, mentre la Cdl avverte che non voterà sì in caso di fiducia, il leader dell'Italia di Mezzo va controcorrente: «Il mio voto sul rinnovo della missione in Afghanistan ci sarà - ha dichiarato Marco Follini - Fiducia o non fiducia».

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