«Ottimo Fini», le giravolte di Daniela

«Non c'è alternativa a Fini». Non ha mai usato mezzi termini Daniela Santanchè quando ha parlato del suo presidente. Nei suoi sette anni di carriera politica, da quando è stata eletta consigliere provinciale di Milano, si è spellata le mani, si è sperticata in lodi, ha usato sempre superlativi al solo pronunciare il nome del capo. Ma Daniela è una persona intelligente, anche se provano sempre a rinchiuderla nello squallido clichè: una bella donna uguale a una perfetta imbecille. La Santanchè è bella. Ed è intelligente. Ed è per questo che cambia idea. Fini è sempre stato un grande, fino al 15 gennaio scorso, quando la deputata di An ha cambiato idea parlando con La Stampa: «A Fini dà fastidio la mia visibilità. Ah, ma io non mi faccio zittire. Non mi fanno paura i musulmani che mi minacciano, figuriamoci se mi lascio intimidire da Gianfranco». Insomma, la Santanchè ha compiuto un'inversione di 180 gradi. Il caso ha voluto che nel frattempo Fini le abbia tolto la stelletta, il distintivo, la seggiolina sulla quale si poggiava. E l'incarico di responsabile delle donne di destra: ma questo senz'altro è un dettaglio ininfluente. La deputata deve aver attraversato un travaglio profondo, come profondo è stato il suo cambiamento di opinioni. Per Fini organizzava a casa sua a Milano cenette a base di risotto (il 20 gennaio 2000). Si proclamava simbolo della svolta finiana: «Fini - diceva la Santanchè il 4 aprile 2002 - ha sempre parlato di allargamento del partito. Io sono il simbolo di questo allargamento. Non sono mai stata una militante del Msi, sono una donna di An. Vengo dall'esperienza di Fiuggi». Passa un anno e mezzo, il 4 novembre 2003 il capo della destra ammette che «il 25 aprile è una data fondante della storia repubblicana, si festeggia la nascita della democrazia». La Santanché è entusiasta: «Un altro grande passo in avanti per An. Dalle parole di Fini si comprende che oramai siamo una destra moderna e liberale, che non ha niente a che vedere con il passato, che guarda al presente e al futuro». «Nel decennale di An - ribadisce il 10 gennaio 2004 - il presidente Fini ancora una volta ha tracciato la strada per il futuro con una attenzione particolare sui temi economici, che significano in definitiva la crescita della nostra nazione». Alleluja, alleluja. Poco dopo, il 27 marzo, approva la linea a favore della donne e annuncia: «Bisogna cambiare regolamenti e abitudini perché questi vadano incontro alle istanze delle donne». Il 19 novembre di quell'anno Fini diventa ministro degli Esteri, una novità fonte di gioia per Daniela: «È una bella giornata per il partito. Si respira un'aria nuova». Il 20 febbraio successivo si mette alla testa delle donne di An, «orfane» di Alessandra Mussolini scappata via. E gongola: «Non vogliamo essere uguali agli uomini, ma non vogliamo neppure essere in conflitto con loro». Arriva la festa delle donne, Fini candida la Bonino alto commissario Onu per i rifugiati, primo vero passo per la trasformazione di An verso un «partito in rosa». La Santanché è felice: «Le donne di An plaudono alle iniziative del governo». Il ministro degli Esteri nomina per la prima volta un ambasciatore donna: «Era ora, soprattutto dopo le tante parole di Prodi; ci voleva il governo Berlusconi con questo ministro degli Esteri per infrangere il tabù». L'intesa regge nonostante tutto. Lei è per l'astensione al referendum sulla fecondazione assistita, lui vota tre sì e un no. «Fini - dice Daniela il 9 giugno - nella sua vita ha fatto spesso degli "strappi", all'inizio non capiti da molti, ma che poi hanno contribuito a fare di An un partito grande e moderno com'è ora. Abbiamo fiducia in lui e nel suo operato». Il 30 giugno in un'intervista al Magazine sentenzia: «Non c'è Fini senza An. E non c'è An senza Fini». Il 2 luglio ammette: «Non c'è alternativa a Fini». L'11 agosto insiste: «Le donne di An giudicano molto positiva la lettera di mobilitazione che Fini ha inviato a tutti gli iscritti». A gennaio 2006 si ripar