di FABRIZIO DELL'OREFICE CHE fine ha fatto Pier Ferdinando Casini? Da oltre un mese è tornato a fare il moderato.
Niente. Sembra sparito. Certo, ci sono state le vacanze di Natale in mezzo. Ma né prima né dopo il leader dell'Udc ha pronuciato frasi contro il Cavaliere. S'è limitato ad abbozzare quando è stato chiamato in causa. Usa un tono dimesso, come se non avesse pagato la linea anti-Cdl che lo ha portato persino a scendere in piazza lo stesso giorno del resto del centrodestra, ma in una città diversa. I problemi maggiori per Casini sono in questo momento nel suo partito. O meglio fuori. Marco Follini è più desaparecido di lui: qualche giorno fa passeggiava sul tappeto rosso nel Transatlantico di Montecitorio da solo; nulla a confronto con gli ingressi faraonici, inseguito da giornalisti in ansia per avere anche soltanto una battuta, portaborse e peones scodinzolanti. Eppure, anche così conciato, dà fastidio all'amico Pier: si appresta ad annunciare il passaggio di altri pezzetti dell'Udc nel suo «Italia di mezzo». Il più importantre sarà l'ingresso di Massimo Grillo, che si porta via un po' di partito in Sicilia, area strategica per l'Udc. Ma Pier non può seguirlo perché una parte consistente della formazione di via Due Macelli non ci starebbe. E poi scoprendosi troppo anti-berlusconiano finirebbe con l'aprire praterie politiche per Carlo Giovanardi, che si appresta a lanciare la sfida per la segreteria in vista del prossimo congresso. Dunque Casini sta fermo, immobile. Ma non potrà restare ancora a lungo così. Lunedì mattina si riunirà il consiglio nazionale del partito. Dovrebbe convocare il congresso per la seconda metà di marzo. «Ma la Dc non ha mai fatto congresso a ridosso delle elezioni», fa sapere uno dei big. E infatti il rinvio non è eslcuso. Perché? Anzitutto il punto è Lorenzo Cesa. Pier Ferdinando Casini punta su di lui, insiste perché venga riconfermato sebbene sembri troppo debole, quasi una comparsa che ripete i concetti del capo e basta. Almeno così dicono i suoi avversari. Scalpita per esempio Bruno Tabacci: troppo autonomo, difficile che possa avere spazio. Mario Baccini, invece, s'aggira dietro le quinte come una sorta di fantasma. Ha le tessere, ha i numeri, ha in mano buona parte del partito e potrebbe rompere gli indugi. In questa eventualità a Casini non resterebbe altra strada: candidarsi direttamente in prima persona per evitare lo sfascio. Ipotesi remota che l'ex presidente della Camera non vuole nemmeno prendere in considerazione. Perciò il rinvio del congresso non è da escludere, anche se sarebbe un segnale di debolezza. Ed è anche per questo che Casini sta cercando alleanze esterne. Dialoga con Clemente Mastella. Si fa vedere con Publio Fiori (Rifondazione Dc) o Angelo Sandri (che ha il simbolo della Dc). Ma guarda anche oltre. Ai socialisti. Ha una consultazione costante oramai con Gianni De Michelis e Stefano Caldoro del Nuovo Psi. E corteggia Enrico Boselli, in rotta con i radicali. Come presidente della Fondazione della Camera ha fatto stampare i discorsi di Craxi e ha spedito proprio Baccini e Tabacci ad Hammamet alla commemorazione del leader socialista. E Baccini s'è fatto uscire poche parole ma emblematiche: «La presenza dell'Udc ad Hammamet ha un valore politico. La scomparsa di Bettino Craxi è un messaggio che ci fa capire i limiti del bipolarismo. Guardiamo al futuro del Paese, alla sinistra moderata ed ad un centro moderato». Più chiaro di così, anche se Giovanardi non gradisce.