Parla Dini: «Sulle pensioni soltanto una minoranza è contraria alla riforma»
Così come abbiamo deciso nel Dpef». Lamberto Dini insiste, non vuole che il centrosinistra receda sul fronte del riformismo e spinge perché sulle pensioni non ci siano tentennamenti. Almeno non altri ancora. Lui, il padre della riforma del '95, poi ministro degli Esteri per i cinque anni del governo di centrosinistra e oggi presidente della commissione Esteri del Senato, chiede a Rutelli e Fassino di non mollare. Non mollare proprio adesso. Presidente, intanto Rifondazione comunista si accinge a presentare un suo progetto per la riforma delle pensioni. E annuncia di voler combattere i «buchi neri» della sua legge di dodici anni fa. Che cosa risponde? «Buchi neri? Che le devo dire, spero non ne trovino tanti...». Va bene, presidente, dopo una dozzina d'anni c'è qualcosa di quella riforma che forse andrebbe rivista? «Sì, certo. Per esempio ci sono alcune clausole che non sono state rispettate. Penso a quella la revisione dei coefficienti in base all'aspettativa di vita. Ecco, la revisione doveva essere fatta dopo dieci anni e invece non è stata compiuta». Di certo, però, sino ad adesso la sinistra radicale ha bloccato i tentativi di riforma. Accadrà anche stavolta? «Mi risulta che sia stato firmato un protocollo tra governo e sindacati che prevede l'avvio di un tavolo che dovrà realizzare la riforma delle pensioni. Questo protocollo, sebbene non lo abbia materialmente tra le mani, mi risulta preveda la revisione dei coefficienti e anche la verifica dell'innalzamento dell'età pensionabile. Bene, si proceda». Si proceda a che cosa? «Intanto ad aprire il tavolo che dovrebbe essere stato avviato già all'inizio di gennaio, per concludere i suoi lavori a marzo». Lei se fosse premier, come lo era nel '95, come procederebbe? «Presenterei un pacchetto di proposte. Diciamo una riforma complessiva che vada in più direzioni. Prevedendo per esempio una revisione degli ammortizzatori sociali, allargandoli anche a coloro che non hanno un lavoro stabile. Ma allo stesso tempo immaginerei l'eliminazione del cosiddetto scalone, che innalza l'età pensionabile - a partire dal 2008 - da 57 a 60 anni». Dunque, è contro l'aumento dell'età? «Quando eravamo all'opposizione abbiamo contestato la brutalità dello scalone e chiedevamo una maggiore gradualità. Bene, dovremmo imboccare questa strada. Ma l'innalzamento mi sembra una via obbligata». E perché obbligata? «Senta, in Germania l'età pensionabile è fissata a 65 anni per uomini e donne. Adesso si sta immaginando una serie di interventi per portare lentamente la soglia a quota 67. Ora, inutile che ci prendiamo in giro. Noi competiamo con i Paesi industrializzati come la Germania. Non con altri. È normale riallinearsi a loro. D'altro canto è l'Europa che ce lo chiede, il commissario Almunia ce lo ha ricordato proprio in questi giorni: ci sono impegni da rispettare». Presidente, e che cos'altro aggiungerebbe al pacchetto pensioni? «Una graduale equiparazione tra uomo e donna. Non si possono mantenere due soglie diverse, l'età dovrebbe essere uguale. Inoltre mi sembrerebbe una decisione perfettamente in linea con qualunque battaglia di qualunque commissione Pari Opportunità: ovvero la parità dei diritti e dei doveri». L'obiezione che viene fatta però è che le donne oltre al lavoro svolgono anche un'altra opera, nel lavoro casalingo. «Mah, ogni volta che esco per strada vedo tanti uomini che spingono i passeggini dei bambini. E leggo le statistiche che certificano come gli uomini svolgono sempre più lavori domestici. Non capisco dove sia lo scandalo. Dobbiamo anche aggiungere che le aspettative di vita sono aumentate soprattutto per le donne». Presidente, dopo Caserta la riforma delle pensioni sembra sparita dall'agenda. Lei invece appare fiducioso e ottimista. Ci sono le condizioni per procedere per una nuova previdenza? «Non ho detto di essere ottimista. Intanto dobbiamo assicurare un futuro ai nostri giovani, è per loro che dobbiamo fare la riforma. Ma penso che più di ogni parola conta quello che abbiamo votato in Parlam