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Il ministro del Lavoro rilancia la riforma. E scoppia una nuova lite con l'ala radicale

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Ma soprattutto non ci stanno a farsi dettare l'agenda di governo dalla sinistra estrema. Così ieri un nutrito drappello di parlamentari dell'Ulivo che credono ancora nel progetto riformista si sono riuniti a convegno per fare il punto sul tema numero uno dei prossimi mesi, le pensioni. Un seminario ad hoc sulla previdenza che precede, guarda caso, di due giorni, l'annunciato convegno con cui Rifondazione presenterà la «sua» riforma delle pensioni. Intanto da Bucarest Prodi ribadisce che «c'è un'agenda tranquilla che va avanti secondo gli impegni presi dal governo». Al convegno, dal presidente dei senatori dell'Ulivo Anna Finocchiaro all'ex ministro del Lavoro Tiziano Treu, al senatore Dl Antonio Polito, al capogruppo della Margherita Dario Franceschini, a sindacalisti quali Adriano Musi fino alle conclusioni tirate dal ministro del Lavoro Cesare Damiano, è stato tutto un ribadire che «la riforma va fatta ma condivisa» con le parti sociali. Tant'è che il viceministro Sergio D'Antoni, uno dei protagonisti come leader della Cisl della riforma del '95, ha sussurrato al vicino di posto: «Ma guarda, ci siamo proprio tutti, sembra di essere tornati al '95. Quasi, quasi si potrebbe fare adesso un'altra riforma». Alternandosi sul palco, i parlamentari hanno tracciato la strada su cui muoversi. I capisaldi sono di non toccare i diritti acquisiti, fare una distinzione dei lavori usuranti e non lasciarsi prendere dall'ossessione delle date. Il termine del 31 marzo, indicato dal protocollo d'intesa tra governo e sindacati, è indicativo non vincolante. Resta fermo il fatto che ogni passo va concordato con le parti sociali. Quindi anche la spinosa questione dei coefficienti di calcolo che in base alla legge Dini potrebbero essere rivisti in modo automatico senza consultare i sindacati, sarà inserito sul tavolo della discussione. L'ex ministro del Lavoro e ora presidente della commissione Lavoro del Senato, Tiziano Treu, ha demolito il tabù dell'innalzamento dell'età. «Si può fare. Rivedere il sistema in senso più equo costa, e se le priorità sono i giovani e gli ammortizzatori credo che si possa chiedere ai cinquantasettenni di lavorare un pò di più». In ogni caso, secondo Treu, «bisogna salvaguardare i diritti acquisiti» anche perchè, ha aggiunto, l'obiettivo «è quello di migliorare il sistema e non punire qualcuno». A fare la sinitesi a fine convegno, il ministro del Lavoro Cesare Damiano che subito mette la quarta: «Basta fare autogol dicendo che vogliamo alzare l'età per la pensione. Lo ha già fatto il centrodestra». E poi: «Niente tagliole sui tempi. Il 31 marzo per me è una data indicativa e comunque io a quel tavolo mi siedo solo se c'è una voce unica del governo, solo se c'è un solo tavolo e non anche tavoli occulti o, addirittura, se ci sono rilanci in corso d'opera». Un richiamo a Rifondazione? Punto secondo: per fare le riforme occorrono le risorse. Damiano dice: datemi i soldi e io posso pure abolire lo scalone perchè sia ben chiaro questa operazione ha un costo. Eliminare lo scalone vuol dire trovare i 9 miliardi di risparmio previsti dalla legge Maroni. Quindi il ministro preferisce parlare di revisione dello scalone. Poi lanciando un messaggio alpremier ribadisce che occorre «una forte regia politica» che indichi le priorità. «Le risorse maggiori provenienti dalla lotta all'evasione, bisogna decidere se impiegarle per abbassare le tasse o a favore dello stato sociale. Io sono per fare esplicitamente questa battaglia e utilizzarle per lo stato sociale. Ciò vuol dire che bisogna individuare delle priorità». Damiano ribadisce che il tema previdenziale va affrontato contestualmente a quello degli ammortizzatori sociali. Il responsabile del Lavoro ha anche fatto un accenno alla necessità di trovare il modo, «a legislazione vigente, di andare in pensione prima dei 60 anni» ma non ha voluto indicare a quale età. Anche questo sarà ogge

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