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di PAOLO ZAPPITELLI BOTTE da orbi.

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Nelle ultime settimane Ds e Margherita sembrano essersi accaniti nel lavoro di marcare sempre più le differenze piuttosto che in quello di smussare gli angoli. E al vertice di Caserta, come se non bastassero gli elementi di attrito, è saltata fuori una competion sfrenata tra i due partiti sul tema delle liberalizzazioni. Da una parte il diessino Pierluigi Bersani, dall'altro la rutelliana Linda Lanzillotta che vuole portare a casa la riforma dei servizi pubblici locali. Due partite complicate nelle quali entra pesantemente in gioco la voglia di ognuno dei partiti di aggiudicarsi per primo il trofeo dello svecchiamento burocratico del Paese. Così, dopo l'attacco domenicale de «L'Unità» a Rutelli e ai Dl, accusati di frenare sulle liberalizzazioni, ieri Pierluigi Mantini, esponente dell'ala liberal della Margherita ha scaricato le responsabilità dello stop sul Botteghino: «L'Italia ha bisogno di più concorrenza in tutti i campi a partire da servizi locali, energia, banche, lavori pubblici. Cresce la preoccupazione per le posizioni di conservazione ed espansione del sistema delle società pubbliche locali nei settori di mercato che vediamo riaffiorare anche nei Ds e che costituiscono un elemento di freno sulla strada del Partito democratico». Di fronte a tanta fibrillazione il leader dei Ds Piero Fassino, intervistato a «Porta a Porta» ha cercato di gettare acqua sul fuoco: «Non stiamo litigando con Rutelli sulle liberalizzazioni. È surreale litigare su questo. Certamente la responsabilità spetta a Prodi che è il presidente del Consiglio mentre Bersani avrà l'intelligenza di coinvolgere i ministri e i dicasteri che sono investiti a seconda delle liberalizzazioni di loro competenza». E nel corso di un convegno a Milano anche Linda Lanzillotta ha provato ad usare toni più concilianti: «A quanto mi risulta i provvedimenti di Bersani sulle liberalizzazioni non sono stati bloccati e sono in corso di redazione e non sono ancora a conoscenza di tutto il governo». Ma le liberalizzazioni non sono l'unico terreno paludoso sul quale Quercia e Dl si affrontano. C'è ad esempio il tema dei Pacs che agita gli esponenti dei due partiti. Da una parte ci sono infatti i cattolici della Margherita — con la Binetti in testa (anche lei rutelliana) — che di unioni di fatto non vogliono sentir parlare, dall'altra invece la maggior parte della Quercia che è disposta ad appoggiare una riforma di questo tipo. Divisioni, screzi ma anche fughe. Come quella dell'economista più ascoltato del Botteghino, Nicola Rossi. E come quello annunciato ieri in una lettera al «Corriere della Sera», da Giuseppe Caldarola: «Mi arrendo di fronte al congresso Ds. Non lascio la tessera, come ha fatto Nicola Rossi, perché in quel partito c'è la gran parte della mia vita, perché quella comunità è la mia famiglia politica. Fino a che ci saranno politicamente i Ds resterò lì. Dopo aprile, liberi tutti». La chiusura, amara, spetta a Gavino Angius: «Questo dimostra un fatto, ossia che il progetto attorno a cui si sta costruendo il cosiddetto Partito democratico, fa acqua da tutte le parti».

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