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«D'Alema, se sei con Hamas dillo»

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La lite tra Berlusconi e D'Alema è un episodio che non fa onore né all'uno né all'altro. Soprattutto perché solo da noi la politica estera diventa tema di disputa per la politica interna mentre dovrebbe essere il contrario». Gianni De Michelis è impietoso. Lui, ministro degli Esteri tra l'89 e il '92, oggi è il presidente dell'Ipalmo (Istituto per le relazioni tra Italia e Paesi dell'Africa, America Latina, Medio ed Estremo Oriente), si trova politicamnete a metà tra Berlusconi e D'Alema, anche se confessa di propendere per il primo. Appena qualche giorno fa, mentre pranzava all'aperto in una piazza di Roma, spiegava l'importanza anche di apparire imparziale agli occhi di palestinesi e israeliani quando gli è passato a fianco un gruppo di turisti di Tel Aviv che gli ha fatto un applauso e lo ha abbracciato. Oggi assiste un po' sconfortato alla disputa tra l'ex premier e il ministro degli Esteri. Onorevole, come giudica questa lite? «Penso che si stia scherzando con il fuoco. Sulla vicenda irachena e soprattutto con quella somala. Che forse è ancora più delicata». E perché? «Basterebbe leggere le dichiarazioni del premier somalo, Mohamed Ali Gedi, che ha detto di aver chiesto lui l'intervento militare degli Usa, per rendersi conto della situazione. Aggiungerei anche che gli americani sono intervenuti per contrapporsi a gruppi terroristici, dunque è bene difficile sostenere che fosse un'azione fuori luogo». Ma perché lei dice che c'è chi scherza con il fuoco? «La sinistra italiana dovrebbe ricordare quello che fece negli anni tra il '91 e il '93». E che cosa fece? «Quelli che allora si definivano ancora comunisti, in polemica con Craxi, sostennero la cacciata del dittatore Siad Barre. E che cosa accadde dopo? Arrivarono gli americani che poi due anni dopo, con il loro presidente Clinton, decisero di fuggire a gambe levate. Proprio come oggi si propone con l'Iraq. Solo che in Italia si ripetono gli stessi schemi, negli Usa no». Non negli Usa? «Dubito che oggi i Democratici, pur criticando l'operato di Bus, si mettano a votare contro di lui. E questo anche perché gli americani ricordano bene che cosa accadde in Somalia. Dopo la fuga, il Paese cadde nel caos più totale, al punto che oggi è necessario ritornare nel Corno d'Africa con la forza. Ecco, sarebbe il caso che almeno imparassimo dalle lezioni del recente passato». D'accordo, ma D'Alema ha anche criticato l'intenzione di Bush di inviare altri ventimila soldati in Iraq. Lei che cosa ne pensa? «Ripeto, quelle di D'Alema sono parole che, come quelle di Berlusconi, hanno una valenza di politica interna. Insomma, il ministro degli Esteri è costretto a rincorrere l'ala radicale della sua coalizione. Berlusconi se ne rende conto e s'infila in quello scontro per mettere in cattiva luce l'esponente dei Ds». Scusi, De Michelis, la domanda era un'altra. Lei è d'accordo con le parole di D'Alema? «E ora le rispondo. Se fossi stato al suo posto non avrei mai detto quello che ha detto, serve più cautela quando si ricopre una carica istituzionale. Il ministro degli Esteri fa valutazioni del tutto parziali. Ma come si fa a non vedere le grandi novità che arrivano proprio dalla vicenda mediorientale?». Quali sono? «Intanto Bush, se da un lato ha annunciato l'invio di nuovi soldati, dall'altro ha anche una strategia chiara di soft power, fatta del coinvolgimento del governo iracheno, dell'avvio di colloqui sempre più stringenti, di un cambio netto di rapporti». A quali rapporti si riferisce? «Ha visto quello che sta accadendo poco più in là dell'Iraq. C'è un'azione silenziosa ma molto efficace di Condi Rice. Ha visto che cosa è accaduto nelle ultime settimane? Abbiamo assistito al capovolgimento della politica di Olmert, per esempio, con la relativa ammissione di responsabilità negli attacchi unilaterali». E Abu Mazen ha scaricato Hamas... «E le pare poco? È stata una rivoluzione enorme. Oggi Abu Mazen si è schierato con gli Stati Uniti. Ecco, questo vorrei sentire da D'Alema. Con chi sta? Con Abu Mazen o con Hamas? Sta da q

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