Il commento
L'importante però ora, è tornare primo, vincere la battaglia decisiva: varcare l'ambìta soglia dell'Eliseo, dopo il voto del 6 maggio prossimo (il ballottaggio). Stiamo parlando di Nicolas Sarkozy, 52 anni, ministro gollista degli Interni, molto vicino a Gianfranco Fini (notevole il parallelismo tra le sue idee e il nuovo corso di An), diventato famoso per il piglio decisionista (che lui chiama «cultura del risultato» e «passione del presente»), per come ha affrontato la sfida delle periferie parigine (l'immigrazione di qualità), la criminalità (lo schedario sessuale, la polizia regionale, la proposta di istituire un Procuratore della nazione contro il crimine) e per come ha saputo risolvere il «caso-Alstom», una grande azienda strategica transalpina, abbandonata dalla sinistra al proprio destino (a compratori tedeschi), garantendo l'occupazione, finanziamenti e gli aiuti europei (importante, in quell'occasione, il dialogo forte e franco che ha avuto col nostro commissario Mario Monti). Un percorso quello di Sarkozy, non facile. Sia se si guarda come è maturata la sua candidatura nell'Ump — ha dovuto superare il boicottaggio dei suoi avversari storici, dal capo dello Stato Jacques Chirac, allo stesso premier Dominique de Villepin — sia se si guarda la marcia verso l'Eliseo. I due contendenti, infatti, sono quasi appaiati. Al ballottaggio, lo dicono gli ultimi sondaggi, sarebbe un testa a testa (50% ciascuno); al primo turno, invece, Sarkozy prevarrebbe rispetto a Segolene Royal di un paio di punti. E inoltre, «Sarko» avrà, d'ora in poi, il complesso compito di recuperare il voto di Le Pen e contestualmente, sfondare al centro. Far convergere i delusi moderati e di sinistra. Il programma? Già di fatto lo ha scritto un anno fa col libro «Tèmoignage» (Testimonianza). Sarkozy parla di «rotture necessarie», lotta all'immobilismo e al conservatorismo, che hanno portato la Francia a perdere il suo ruolo internazionale e all'aumento esponenziale della protesta antiparlamentare (il voto agli estremisti, il non voto, etc; medie che oltrepassano il 50% dei cittadini). La sinistra — per lui — è ammalata di immobilismo, a causa del suo pregiudizio ideologico, non comprende la modernità ed è arroccata su posizioni vecchie (la spesa pubblica, la ricchezza da distribuire e non produrre, le 35 ore, l'assistenzialismo); la destra chiracchiana è troppo conservatrice, nazionalista, rigida nell'ortodossia istituzionale della Quinta Repubblica (una Costituzione che va aggiornata), troppo antiamericana e antieuropea. Sarkozy sogna una Francia «a misura dell'uomo che si fa da sé», che conquista col suo impegno, il suo culto per la legalità («il patriottismo repubblicano»), la cittadinanza attiva (meccanismo esteso agli immigrati, islamici compresi), e conquista il suo successo economico e sociale, con il lavoro, con quella meritocrazia liberista (moderata dalla flesso-sicurezza di stampo scandinavo) che lo ha fatto etichettare come «Sarko l'americano». Una concezione che è frutto della sua autobiografia («nessuno mi ha mai regalato qualcosa»). Sarkozy è nato in Francia, ma di padre ungherese e di nonno materno ebreo di Salonicco. Resta da vedere se riuscirà a conciliare l'essere «uomo del cambiamento», pur essendo un ministro di un governo uscente, e l'«uomo delle garanzie», come parte dell'opinione pubblica gli chiede. Ma lui sembra avere già l'asso nella manica: si definisce di destra, ma propone «di andare oltre la famiglia gollista con un grande, nuovo rassemblement popolare».