Viale Mazzini: «Ma è una falsa privatizzazione»

Appare così l'atmosfera nelle stanze di viale Mazzini all'annuncio del ministro Gentiloni di affidare la Rai ad una Fondazione e di costituire tre società. Perplessità perché le linee guida presentate ieri lasciano troppe questioni aperte. E preoccupazione perché lì dove si fa riferimento alla privatizzazione in realtà molti temono che a farla da padroni potrebbero essere solo alcuni gruppi. Un ritornello si ripete: via il duopolio ma largo all'oligarchia in Rai. Il progetto Gentiloni, quindi, non sfonda. Anzi vede molte resistenze nell'Azienda. Un esempio per tutti la posizione dell'Usigrai che molti interpretano come l'umore ufficiale di tutto l'ambiente interno. Un ambiente che non vuole sentire parlare di privatizzazione, soprattutto come prevista dalle linee guida del Ministro. «Se si vuole privatizzare - commenta qualcuno - si faccia come è stato fatto con l'Alitalia. Si metta l'azienda sul mercato con la proprie azioni, lasciando agli investitori di intervenire». Ma qualcuno sussurrando e maliziosamente dice che in effetti «così com'è la riforma mette in moto un meccanismo che può privilegiare alcuni soggetti ed escluderne altri poco graditi. In fin dei conti è sempre un Cda politico, anche se è quello di una Fondazione, che deciderà la privatizzazione». Però c'è qualcuno vede anche grossi ostacoli chiamando in causa l'Autority dato che «la riforma prevede, attraverso una Fondazione, la gestione pubblica dell'Azienda che comunque vedrà capitale privato. In questo modo si crea un sistema che droga il mercato e realizza una privatizzazione fittizia. Chissà come reagirà l'Unione Europea?». E la questione degli investimenti dei capitali privati fa riflettere più di qualcuno: «Quale imprenditore investire in un'Azienda dove la politica ha comunque l'ultima parola? E se l'Azienda va in perdita chi ripianerà i debiti?». Non va meglio quando si analizza la struttura della Fondazione che anzi viene vista come il "ventre molle" della riforma. "Ma quale autonomia dalla politica - sorride qualcuno - continuerà il suo dominio. Saremo di fronte ad un rafforzamento del potere politico nelle decisioni dell'Azienda. Ed addirittura potrà decidere la societarizzazione dei rami d'azienda come Sipra o Rai Cinema". E qui sta l'altro nodo, la privatizzazione dei pezzi Rai, un'ipotesi che «fa tremare le vene ed i polsi a molti" perché "su questo punto mancano certezze per i lavoratori ed anche per chi acquista". Poche aperture, quindi, da viale Mazzini che anzi sembra quasi rivivere una scena già vista. Sempre Romano Prodi premier ma nel lontano 1996. Anche allora l'idea di mettere mano alla riforma Rai e di privatizzare l'Azienda. Ed anche allora l'Usigrai «pronta ed impegnata a fare una guerra civile contro il progetto». Un copione, quindi, per molti già visto. «Nel 1996 la scelta - ricorda qualcuno - di rinnovare l'Azienda attraverso un'apertura ai capitali privati si scontrò con la fermissima opposizione interna ed il governo dovette recedere dalla sua riforma». Ed adesso? Per molti la sorte sarà la stessa, un progetto «nato già morto e che avrà vita breve perché se nel '96 Prodi poteva contare su una maggioranza più compatta e meno schiacciata sulla sinistra radicale oggi non è così». Il Governo di certo non si suiciderà sulla Rai.