Incubo contratto per i ricercatori scientifici
I nostri giovani «cervelli» vivono con 1000 euro al mese
Il precariato insomma genera ansia e anche se la loro produttività non risente di quest'incertezza, sicuramente la vita privata sì. Mentre un rapporto NidilCgil-Ires segnala come il loro stipendio medio sia appena di 1.000 euro, e il loro impegno lavorativo fino a 45 ore la settimana, un'altra indagine — condotta dall'Irpps (istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali) del Cnr e pubblicata nelle scorse settimane — rileva che questa condizione di vita destabilizza notevolmente i nostri giovani «cervelli», con effetti negativi in particolare sul rapporto di coppia, sul bilancio familiare e sulle scelte per la casa. Intervistando 798 ricercatori, l'indagine evidenzia che il 5,2% ha più di quarant'anni, il 20,6% è tra i 35 e i 39 anni, mentre il 43,4% è tra i 30 e i 34 anni e solo il 30,7% ha 29 anni o meno. Nella maggior parte dei casi, e cioè il 60%, i ricercatori possono contare su un contratto di 3-4 anni ma il 32,3% può contare solo su contratti brevi di un anno o meno, e solo il 7,7% su contratti di durata superiore ai 3 anni. E, comunque, ci vogliono anche cinque anni prima che un ricercatore possa vedere stabilizzata la propria collaborazione. Nell'indagine risulta quindi che il 97,4% degli intervistati ha uno stress emotivo soprattutto quando si avvicina la scadenza del contratto. Ma la situazione di incertezza è causa generale, per il 96,6% degli interpellati, e quindi praticamente per tutti, di effetti indubbiamente negativi sulla vita privata. Ad esempio, il 71,6% ritiene che sia la causa di problemi di coppia, l'89,7% la ragione di incomprensioni con i propri genitori, l'89,3% sulla scelta dell'abitazione, il 91,7% sul bilancio familiare, l'87,2% sulla capacità di affrontare gli imprevisti della vita quotidiana. In generale, la tipologia contrattuale più frequente sono i contratti a progetto (ex co.co.co.) e altre forme di collaborazione (per il 35,8% del campione), superati solo dai borsisti, dottorandi inclusi (per il 37,4%). Solo il 10,2% ha un contratto a tempo determinato. Cambiare allora lavoro? La ricerca sembrerebbe essere una vera e propria «missione», visto che l'85,9% degli intervistati ritiene di avere possibilità di inserimento in un'altra professione, e il 68,5% addirittura con un salario piu' alto.