di LAURA DELLA PASQUA GLI STATALI tornano nel mirino.
Così viene rispolverato il vecchio luogo comune del dipendente pubblico scansafatiche e talvolta addirittura corrotto; dello statale che è insofferente alla mobilità al punto che nemmeno gli incentivi riuscirebbero a spostarlo dalla sua poltrona. Ed ecco che a inizio d'anno dal governo e dai sindacati arrivano una serie di iniziative che in nome della sburocratizzazione della pubblica amministrazione, dell'efficienza e della trasparenza, rilanciano il tema del licenziamento e della mobilità. C'è chi nel sindacato sostiene che tanta durezza è sospetta soprattutto perchè arriva a ridosso dell'annuncio da parte del ministro delle Attività Produttive Bersani di una seconda fase per le liberalizzazioni. È come se, bacchettando gli statali, il governo si aprisse la strada per colpire altre categorie. Come dire: qui non facciamo sconti a nessuno. È il refrain che gira in ambienti sindacali esclusa la Cgil che su questo terreno è subito corsa a dare una mano al governo rilanciando il tema degli incentivi per favorire la mobilità nel pubblico impiego. Come se fosse una novità. Il ministro Nicolais ieri ha fatto propria la proposta del leader della Cgil Guglielmo Epifani di incentivi alla mobilità e anche di un fondo di solidarietà. Secondo il sindacalista «non è vero che c'è un eccesso di dipendenti pubblici ma ci sono servizi in cui c'è un eccesso di manodopera e eltri dove questa è carente». Per risolvere il problema degli esuberi in alcuni comparti e di carenze in altri, Nicolais propone una sorta di mappatura per valutare la situazione dopodichè si può procedere agli spostamenti. Nicolais ha scandito anche i tempi di questi interventi che dovrebbero andare dipari passo con la riforma delle previdenza: «subito dopo il vertice di Caserta dovremmo essere in grado di siglare l'intesa quasro con i sindacati. E poi nel giro di venti giorni potremmo anche dare il via alprogetto di estensione della previdenza integrativa a tutto il comparto pubblico». L'obiettivo, dice, è di arrivare a fine legislatura con una macchina pubblica «snella ed efficiente». Secondo il ministro Bersani il motivo vero per cui le multinazionali non investono più in Italia sta nell'inefficienza della burocrazia, non certo nel costo del lavoro o nella sua rigidità. Non solo efficienza ma anche più trasparenza e legalità. La quadratura del cerchio della rivoluzione nella pubblica amministrazione è data da un disegno di legge che prevede il licenziamento in tronco per chi è colpevole di corruzione, concussione e peculato anche in caso di patteggiamento. Secondo l'attuale normativa il dipendente che beneficia dello sconto di un terzo della pena, non perde il posto automaticamente. Mentre si ritira fuori il tema della mobilità ci si dimentica forse che tutto era già stato previsto tredici anni fa quando nel 1993 con il decreto 29 furono fissati i criteri per ridefinire in modo più omodegeno gli organici della pubblica amministrazione. Allora il decreto stabiliva di ridefinire le piante organiche in base alle esigenze, agli esuberi e alle carenze di personale. Poi indicava tre strumenti di mobilità: d'ufficio, volontaria e contrattata. Basterebbe rispolverare quel decreto e applicarlo.