Napolitano: «Serve un confronto costruttivo tra i Poli sui problemi più gravi del Paese»

È l'appello più accorato che Giorgio Napolitano ha rivolto nel suo primo messaggio di fine anno. Un discorso di diciotto minuti con il quale ha chiesto ai due schieramenti di abbassare i toni di un confronto politico troppo esasperato, gridato al punto da suscitare un «frastuono generale» che scoraggia la partecipazione e «fa soffrire» le istituzioni. «La cosa pubblica siamo noi stessi», ha aggiunto il presidente della Repubblica citando questa frase di Giacomo Ulivi, un giovane partigiano che la scrisse prima di essere fucilato. «Queste parole sono ancora attuali», ha commentato, non si può fare a meno della politica per far corrispondere le grandi scelte «al bene comune». Serve consapevolezza, bisogna ricordarsi che le elezioni hanno diviso il paese «in due parti quasi uguali» ed è necessario dialogare come si fa fra avversari politici, senza «abbracci confusi» ma anche senza «guerre», come avviene nei grandi paesi democratici. Occorre trovare l'intesa sulle riforme delle istituzioni e delle autonomie locali («con realismo e misura»). E si deve «cercare pazientemente l'accordo su meccanismi elettorali che rendano più lineare e sicura la formazione delle maggioranze». Senza «confronto costruttivo» come si possono affrontare «i problemi più gravi del Paese»? A cominciare dalla riduzione del debito pubblico. E non solo perché lo chiede l'Europa, ma perchè è la premessa per la crescita e il progresso dell'Italia. Uno sviluppo che, ha ricordato il presidente, deve essere non di una parte, ma «dell'insieme del Paese». Certo, dedicando «la massima attenzione» al Nord che rappresenta la parte più dinamica e competitiva, ma con «una visione unitaria e solidale», cioè dando la stessa importanza ai problemi del Mezzogiorno, da valorizzare con «politiche incisive e coraggiose» e creando lavoro soprattutto in queste regioni «difficili» per realizzare una «maggiore coesione sociale e civile»: una risposta alla disgregazione e al dilagare della criminalità. «Per fortuna l'Italia non è ferma, ha ripreso a crescere», ha detto riconoscendo il merito «determinante» degli imprenditori che puntano sull'innovazione e sul mercato globale, ma anche dei lavoratori. Ora però «è il momento di premiare il merito», aiutare chi «lavora in condizioni pesanti e per salari inadeguati, a cominciare dagli operai dell'industria», e fare di più contro la piaga delle morti bianche e del lavoro in nero. Occore «più equità», nei redditi e nelle condizioni di vita, più integrazione per gli immigrati regolari, una giustizia più lineare e rapida. L'Italia deve guardare al futuro, non può guardare solo all'oggi e in casa propria. Di fronte alle crisi internazionali, deve fare la sua parte, deve sentire il dovere di partecipare alle missioni di pace dell'Onu e dell'Unione Europea, come sta facendo in Libano. «Noi e l'Europa non possiamo assistere inerti» ai conflitti, ai rischi di proliferazione nucleare, ai flagelli che devastano interi paesi, alle minacce del terrorismo internazionale. «In questo momento tragici bagliori ci giungono ancora dall'Iraq, ha detto Napolitano con un accenno alla situazione dopo l'esecuzione di Saddam Hussein. Occorre rilanciare il percorso di integrazione europea superando »resistenze e difficoltà« sorte attorno alla ratifica del Trattato Costituzionale. Con soddisfazione, il Capo dello Stato ha dichiarato di aver trovato con la Chiesa cattolica «una profonda sintonia sui grandi temi»: la pace, la Terra Santa, il dialogo fra civiltà e religioni. E con ancor maggior soddisfazione ha ricordato che il Papa «ha voluto richiamare ripetutamente i principi e i valori affermati nella Costituzione». Con questo riferimento in Parlamento, in piena autonomia e attraverso il dialogo, si possono affrontare «nel modo migliore anche i temi più delicati della scienza e dell'etica», ha commentato accennando alla drammatica vicenda di Piergiorgio Welby, confessando di esserne rimasto «turbato e coinvolto». Nel congedo, Napolitano ha ri