di RAFFAELLO UBOLDI Il signor Yassim Majid, consigliere del presidente iracheno Nuri al Maliki non conosce ...
Se così non fosse non avrebbe citato la fucilazione di Mussolini per giustificare l'impiccagione di Saddam. Una morte, quella del dittatore italiano, avvenuta in un tempo, e in un contesto profondamente diversi, nei giorni convulsi del chiudersi di una guerra mondiale e per l'Italia di una guerra civile. In questo quadro e in quel clima Benito Mussolini non venne mai portato, nemmeno per un minuto, davanti a un giudice, ma sbrigativamente davanti al mitra di un partigiano comunista (o più partigiani comunisti, le circostanze di quella morte non essendo ancora oggi del tutto chiare) per ordine di Luigi Longo che si assumeva, nel più perfetto stile leniniano, il ruolo di grande giustiziere. Così forzando, e di molto, le decisioni del Comitato di liberazione Alta Italia che si limitava a un ordine generico di condanna alla pena capitale dei maggiorenti fascisti; il che non significava che si dovesse procedere ad una giustizia sommaria, che Mussolini non dovesse essere consegnato agli Alleati, che non si dovesse celebrare a lui e agli altri un processo (dal quale in tanti dei morti ammazzati a decine di migliaia tra l'aprile e il maggio del 1945 sarebbero probabilmente usciti indenni). Si optò invece per una mattanza generalizzata , di cui la barbarie di quei cadaveri esposti a piazzale Loreto — a tutt'oggi tutti noi ne proviamo profonda vergogna — fu il corollario . Con la domanda se agendo in tal modo Longo e i suoi si rendessero conto, e in quale misura, di rendere uno straordinario servigio a chi non voleva affatto un processo a Mussolini, gli inglesi per dirne una, se è vero, come da alcune parti si afferma, che egli fosse in possesso di qualche documento compromettente per loro. Dei documenti magari risalenti al tempo in cui tra Londra e Roma regnava una atmosfera di reciproca intesa; e che Wiston Churchill si preoccupò di recuperare venendo a dipingere gli idilliaci paesaggi del lago di Como di cui si era curiosamente innamorato ancor prima di conoscerli. Questo per la storia; per migliorarne la conoscenza del signor Yasim Majid se si degnerà di leggere queste poche righe. Quanto al resto cominciamo col rammentare — di sicuro non ai nostri lettori — che questo giornale non può certamente essere tacciato di simpatia nei confronti di Romano Prodi e del governo che egli presiede. Ciò detto rivendica ad alta voce il diritto di dire, esso pure, la sua, quali che siano i compagni di viaggio che su questo o quel tema può incontrare. Chi in ottemperanza ai precetti del Vangelo è contrario alla pena capitale non può fare eccezioni al proprio credo, neppure di fronte a un tiranno sanguinario quale Saddam Hussein fuori da ogni dubbio è stato. Significherebbe rinunciare alla superiorità morale di chi chiede non vendetta, quanto piuttosto, e legittimamente, giustizia. Inoltre perché (insistiamo nel dirlo) quell'impiccagione è stata e rimane politicamente un errore che rischia di attribuire a Saddam quello che in assoluto non merita. Fuori dal gioco di cui l'Iraq è preda, dal terrorismo allo scontro fra etnie e differenti fazioni religiose, egli rischia di rientrarvi da martire. E un'ipotesi di questo tipo sarebbe un problema in più da affrontare.