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Giulio Andreotti: «La Finanziaria mi sembrava un grande magazzino»

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Pochi mesi dopo quell'uomo avrebbe preso in mano le redini del Paese. Quell'uomo era Saddam Hussein. Oggi, dopo l'esecuzione dell'ex rais, Andreotti torna con la memoria a quell'incontro. «Ricordo gli elogi che faceva della figura di Hitler - dice - forse la pena di morte se l'è data da solo». Presidente qual è il suo giudizio su questa vicenda? «Saddam Hussein è stato un personaggio che ha conosciuto la massima gloria durante la guerra contro l'Iran di Khomeini quando il mondo occidentale lo considerava un proprio paladino». Poi, però, qualcosa è cambiato. «Poi ha conosciuto la massima riprovazione a seguito dell'operazione condotta dagli Usa in Iraq. Un'operazione di cui, però, non è ancora chiaro il movente. Era il petrolio? Si temeva forse che Saddam potesse condurre attività troppo dure contro Israele? Dopotutto l'idea che l'ex rais possedesse un arsenale con armi di distruzione di massa si è rivelata falsa. Era una scusa». Secondo lei l'esecuzione doveva essere evitata? «Sono contrario alla pena di morte e credo si sia trattato di un modo curioso per salvare le apparenze legali di qualcosa che, dal punto di vista internazionale, era considerato sbagliato. Ma penso che l'esecuzione vada vista anche in chiave interna. Forse si è voluto dare una lezione alle frange più radicali». Adesso cosa succederà in Iraq? «L'Iraq è un paese fortemente diviso. Ci sono gli sciiti, i sunniti e i curdi. Devo dire che, con quest'ultimi, Saddam aveva fatto dei passi avanti prevedendo uno statuto simile a quello del nostro Trentino Alto Adige. In ogni caso le differenze presenti in Iraq mi sembrano difficilmente superabili. E poi c'è il petrolio». Forse è proprio questo il vero nodo da sciogliere? «Credo che occorra domandarsi come questa risorsa può essere utilizzata a vantaggio di tutto l'Iraq. Sento spesso dire ritiriamo le truppe ma manteniamo un presidio di assistenza. Non so quanto questo discorso sia giusto. Ci sono paesi che non hanno le risorse che ha l'Iraq. Penso sarebbe meglio destinare i fondi per la cooperazione allo sviluppo a questi Paesi». Dall'Iraq alla questione Mediorientale. La pace tra israeliani e palestinesi resterà un'utopia? «Mi sembra che si stia costruendo un minimo di dialogo. Ma resta ancora aperto il problema dei palestinesi che si trovano nei campi di concentramento in Libano». Campi di concentramento? «Sì. Si tratta di palestinesi che non esistono giuridicamente. È un punto delicato che va affrontato. Se non esiste una prospettiva globale per il popolo palestinese è quasi impossibile pensare ad un raffreddamento delle tensioni». Si riferisce alla possibilità di uno stato palestinese? «Lo stato palestinese nacque già nel 1948 congiuntamente a quello di Israele. Poi Arafat accettò quello che era possibile accettare ad Oslo, cioè la politica dei due tempi: prima organizzazione dell'Autorità palestinese, poi lo Stato. Ma da allora sono passati anni». Un altro capitolo «caldo» della politica internazionale: l'Afghanistan. «Nessuno dovrebbe mai rimpiangere i talebani ma è indubbio che, il loro regime aveva bloccato il narcotraffico che, oggi, è invece ripreso in maniera massiccia. E questo nonostante la presenza dell'Onu e della comunità internazionale». Però se ne parla sempre meno? «Non se ne parla probabilmente perché a qualcuno fa comodo così. I paesi ricchi, proprio perché tali, hanno più possibilità di acquistare narcotici. Forse qualcuno lavora su due binari». Passiamo alla politica interna. Può tracciarci un bilancio di questi primi mesi di governo Prodi? «Avendo fatto questo mestiere sono sempre molto cauto nel guardare alla gestione degli altri proprio perché conosco le difficoltà che ci sono». Difficoltà che non sono certo mancate in questi otto mesi? «Io credo che l'errore principale è stato abbandonare il sistema proporzionale. La nostra società e il nostro

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