L'analisi
Così riparte l'antiberlusconismo
Addio Villa Madama, la preferita da Berlusconi. Largo al complesso seicentesco di San Michele. Niente più domande senza paracadute o preorganizzate, il tono frizzante e le gaffes del Cavaliere; spazio alla voce soporifera del Professore. Prodi è costretto a rispolverare il caro, vecchio antiberlusconismo, l'unica vera carta che davvero mette assieme il centrosinistra. Almeno questo centrosinistra, la coalizione di Prodi. E così il premier rispolvera la parola «declino», spiega che è «innegabile che il governo precedente non è stato in grado di contrastare la lunga parabola decrescente dell'Italia». Sottolinea che appena ha saputo del comma Fuda «c'ho messo due minuti a intervenire, cosa che il precedente governo non ha certo fatto». Seguono frecciatine qui e là, frasi indirette. Come quando parla delle necessità di recuperare «il senso etico della politica» a cominciare dal capitolo «costi». Insomma, marca la differenza con il suo predecessore. Perché, paradossalmemente, per rimanere a galla Prodi (e per Berlusconi) deve soprattutto rinnovare lo spauracchio dell'avversario. Assicurato il galleggiamento con l'antiberlusconismo, il presidente del Consiglio deve però almeno provare a nuotare per andare avanti. Ma la sua scialuppa, l'Unione, imbarca acqua ovunque. E allora Prodi prova la mossa disperata: l'uomo solo al comando. Parla in prima persona, sparisce il pluralis majestatis. Non cita mai un ministro, non ricorda nemmeno un provvedimento varato da uno dei suoi uomini nella squadra di governo. Niente, non esiste nessuno. Nemmeno il suo partito, quello che vuole trovarsi a tutti i costi e che sta creando tante divisioni tra e dentro Ds e Margherita. Anzi, a tratti sembra disconoscere la sua creatura: «La maggioranza può vivere senza il Partito Democratico ma l'Italia, che ha bisogno di forza e stabilità nella sua rappresentanza politica, ha bisogno del Partito Democratico». E ancora: «La coalizione che ha vinto le elezioni va oltre il Partito Democratico, non ne ha bisogno per governare. Io il Pd lo voglio fortemente per il futuro del Paese perchè dobbiamo dare stabilità all'Italia». Lui, dunque, non ne ha bisogno. Sono affari degli altri. Perché «in Italia si fa presto a fare scissioni, è molto più complesso fare aggregazioni», spiega. Perché Prodi resta il più bravo di tutti. Ma nel non affondare, nel trasformare le sue debolezze (come il fatto che la sua maggioranza non lo sopporta più) nei suoi punti di forza (a lui non ci sono alternative). Almeno per ora.