Cazzola avverte «Il governo rischia d'andare contro l'Ue»

Sarà una sorta di controriforma, dannosa». Giuliano Cazzola, il massimo esperto di previdenza, bolla così le intenzioni del governo di intervenire sul sistema pensionistico. Il governo ha messo come priorità l'abolizione dello scalone introdotto dall'ex ministro Maroni, lei cosa ne pensa? «Penso che sia un pretesto perché se si volesse fare un'operazione anche di saggezza politica per evitare che il primo gennaio 2008 ci sia un salto di tre anni, si potrebbe fare una spalmatura dello scalone. Invece l'intenzione del governo è di attuare una controriforma, tornando al pensionamento a 57 anni. La soluzione giusta sarebbe di sostituire l'aumento immediato di tre anni con una gradualità. Invece trovo che sia un errore clamoroso tornare a 57 anni». Perché lo considera un errore clamoroso? «L'età di pensionamento va alzata; è una linea di condotta che hanno attuato tutti i Paesi europei in vista dei mutamenti demografici e di quello che succederà nel mercato del lavoro. A breve ci saranno pochi giovani a fronte di una schiera di over 50». E allora? Quale sarà la conseguenza? «Guardi, uno studio di Bruxelles, il Libro verde sulla trasformazione demografica nella Ue, afferma che sarà la generazione dei cinquantenni a esprimere nel prossimo decennio il massimo potenziale nel lavoro. Per questo tutta l'Europa è proiettata nel prolungamento della vita attiva. Negli ultimi dieci anni sono andati in pensione di anzianità due milioni e mezzo di persone. Il governo non riuscirà nemmeno a fare una correzione tardiva di questo trend perché si vuole proprio tornare indietro». Come spiega il no intransigente della sinistra estrema all'aumento dell'età pensionabile? «La sinistra estrema, ma anche i sindacati, hanno il mito della pensione di anzianità che è quella dell'operaio della grande fabbrica che ha cominciato a lavorare negli anni Settanta. La pensione di anzianità è nordista e maschile. Nello stock di quel tipo di previdenza solo il 17% è delle donne. Dunque, gli oppositori all'aumento dell'età pensionabile difendono una situazione marginale e che per giunta costa molto. Una pensione di anzinità costa il doppio di quella di vecchiaia». Eppure è difficile da far digerire a chi lavora il prolungamento dell'attività, o no? «Alcune stime della Ragioneria convalidate in sede europea dicono che andando in pensione a 65 anni con 40 anni di contributi si avrà più o meno lo stesso trattamento che si ha oggi con 60 anni di età e 35 anni di contributi. Questo vuol dire che se si riuscisse ad alzare l'età di pensionamento daremo una risposta a chi dice che i giovani avranno pensioni miserabili». Esiste un problema di costi per l'abolizione dello scalone? «Niente affatto. L'operazione è stata già pagata con l'aumento dell'aliquota contributiva decisa con la Finanziaria. L'operazione contributi fatta su tutte le categorie porterà maggiori entrate per 5,5 miliardi di euro agli enti. Il meccanismo fatto dal governo è di scambiare le minori spese che derivano dall'abolizione dello scalone con maggiori entrate. Nel 2007 si paga lo scalone del 2010». Cosa andrebbe fatto secondo lei per il sistema previdenziale? «Io sono dell'idea che la riforma Maroni va bene ma lo scalone andrebbe spalmato in un arco di tempo certo. È delittuoso tornare al pensionamento a 57 anni». Cosa ne pensa dei disincentivi per indurre a un prolungamento della vita lavorativa? Possono funzionare? «Sono acqua fresca perché chi decide di andare in pensione ci va lo stesso. Se i disincentivi sono alti non ha senso dare pensioni basse a giovani. Oggi il sistema retributivo già premia coloro che vanno in pensione presto che quindi avrebbero un doppio premio».