Il governo prepara una nuova riforma della previdenza. Prepariamoci: si intascherà di meno
Il punto di partenza, sostiene il ministro del Lavoro Cesare Damiano, è il protocollo d'intesa siglato dalla maggioranza e dai sindacati che definisce un binario su cui muoversi. Questo protocollo lascia intendere che l'età pensionabile va aumentata perchè la vita media si è allungata e che bisogna muoversi nel solco della riforma Dini. Eppure nonostante questo documento con tanto di firma in calce dei rappresentanti dei partiti della maggioranza e di Cgil, Cisl e Uil, il fuoco di sbarramento per una riforma delle pensioni è iniziato. Tant'è che all'interno del governo si vocifera che, dopo la mareggiata di polemiche scatenata dalla Finanziaria, affrontare un tema così delicato e ad alto potenziale di impopolarità come la previdenza, non è strategico. Comunque sia il governo ha fatto sapere che a gennaio verrà aperto un tavolo di confronto. Si prospettano così due ipotesi: quella minimale, affrontando il nodo del cosidetto scalone (l'innalzamento immediato di due anni deciso dall'ex ministro del Lavoro Roberto Maroni, dal 1° genaio 2008), o apportare altri ritocchi al sistema previdenziale a cominciare dall'innalzamento dell'età di pensionamento. Vediamo quali sono le ipotesi sul tappeto. Cominciamo dallo «scalone». In base alla riforma Maroni dal 2008 tutti dovrebbero andare in pensione a 60 anni. Per superare questo innalzamento immediato verrebbe introdotto un meccanismo di incentivi e disincentivi. L'incentivo consisterebbe, come nei modelli francese e tedesco, nell'incremento del 3% della pensione per ogni anno lavorativo in più rispetto ai 57 anni di età. Il disincentivo invece tenderebbe a penalizzare chi vuole andare in pensione prima dei 60 anni di età. Costui avrebbe un taglio dell'assegno previdenziale pari al 3,5%. Questa operazione però ha un costo elevato. Non per niente l'aumento dell'età di pensionamento decisa da Maroni era proprio in funzione di un abbattimento della spesa previdenziale. Sulla rimozione dello scalone peraltro il governo si gioca la sua credibilità in quanto questa è una delle promesse fatte in campagna elettorale. C'è chi sostiene che l'aumento delle imposte miri proprio a cercare risorse da convogliare al superamento dello scalone ma è una tesi alla quale nemmeno al ministero dell'Economia credono più di tanto. Scalone a parte ci sono altre ipotesi di intervento. La revisione dei coefficienti di trasformazione dei contributi previdenziali è quella più difficile da attuare perché altamente impopolare. La revisione è prevista dalla legge Dini e già se ne sarebbe dovuto occupare il governo Berlusconi che però lasciò perdere. L'aumento delle aspettative di vita impone un ridimensionamento della rivalutazione del montante contributivo (l'insieme dei contributi versati durante la vita lavorativa) e si era ipotizzata una riduzione tra il 6 e l'8% a seconda dell'età in cui si lasciava il lavoro nella pensione di anzianità. Ma sia i sindacati che la sinistra estrema hanno risposto con una levata di scudi. No secco anche all'ipotesi di equiparare l'età di pensionamento delle donne (ora 60) a quella degli uomini (65). Sul tavolo anche il superamento del divieto di cumulare la pensione con un altro stipendio e il superamento dei trattamenti differenziati di cui godono ancora alcune categorie.