La scheda

La richiesta veniva direttamente da Romano Prodi che (almeno all'inizio della legislatura) sembrava preoccupato per l'eventuale fiorire di nuove figure nei vari uffici. L'indicazione era chiara: le stanze del potere si sarebbero dovute «servire» esclusivamente del personale necessario, senza far crescere il numero totale di addetti. Insomma, nessun aumento si spesa. Peccato che sia rimasto solo un invito: in realtà è successo tutt'altro. La conseguenza più importante? La Legge Bassanini è finita in cantina. Fenomeno che ha portato al cosiddetto spacchettamento dei ministeri. Cinque quelli «divisi»: Infrastrutture, Attività Produttive, Università, Welfare e Beni Culturali. Decisione che aveva portato non pochi mal di pancia, all'interno della stessa coalizione di Governo. Il tutto mentre il centrodestra rivendicava l'importanza di una legge, la Bassanini, che originariamente prevedeva solo 10 ministeri, poi 12, saliti a 14 con la coalizione di centrodestra. Con Prodi, il vecchio dicastero delle Infrastrutture e Trasporti è stato «sdoppiato» appunto in Infrastrutture (capitanato da Antonio Di Pietro) e Trasporti (Alessandro Bianchi). Quello dell'Istruzione, Università e Ricerca (che fu di Letizia Moratti) è stato diviso in Università e ricerca Scientifica (Fabio Mussi) e Istruzione (Giuseppe Fioroni). Il dicastero che fu del leghista Roberto Maroni, quello del Welfare, è stato diviso in Ministero del Lavoro (Cesare Damiano), Politiche Sociali (Paolo Ferrero) e Politiche della Famiglia (Rosy Bindi), mentre il ministero alle Attività produttive (ora Sviluppo economico, guidato da Pierluigi Bersani) ha perso Commercio estero (Emma Bonino) e quello dei Beni Culturali (guidato da Francesco Rutelli) lo Sport (Giovanna Melandri).