di GIANCARLA RONDINELLI «LASCIO per evitare che questo organismo, in cui credo fermamente possa essere soppresso».
In una conferenza stampa convocata per comunicare ufficialmente le sue dimissioni, Tatozzi spiega chiaramente, con rabbia e delusione, le motivazioni che lo hanno portato a questa decisione da lui definita più volte «irrevocabile». Si tratta di motivazioni per lo più legate ad un atteggiamento da parte dell'attuale governo di «isolamento» nei suoi confronti, di «scarsa sensibilità» verso il tema della corruzione. «Forse - rimarca Tatozzi - mi ritenevano un residuo del vecchio governo di centrodestra», ma «il mio contratto di cinque anni non è stato fatto da Berlusconi, bensì da un decreto firmato dal presidente della Repubblica» Ciampi nell'ottobre del 2004. Durante l'incontro con la stampa Tatozzi spiega anche di aver chiesto più volte di essere ricevuto da Prodi negli ultimi mesi «nonostante questa struttura dipenda funzionalmente dalla Presidenza del Consiglio», ma nessuna risposta è arrivata da palazzo Chigi. «Mi è stato risposto che non era possibile - racconta -. Non posso chiederlo ogni 5 minuti, avevano la mia disponibilità, eppure nulla... Evidentemente non sono stato considerato espressione di questo governo». Ma non finisce qui. In 24 ore, da quando cioè si è appresa la notizia a quando lui lo ha comunicato ufficialmente, Tatozzi non ha ricevuto alcuna telefonata. «In questi mesi - spiega ancora Tatozzi - sono state sfornate una serie di iniziative che mi hanno confermato la scarsa sensibilità sul fronte della lotta alla corruzione. Io capisco che questo organismo dia fastidio a qualcuno, un altro controllore... Ma l'Alto Commissariato non ha poteri autonomi, vive di sinergie e collaborazioni con le altre istituzioni». «Se non ci sono - si sfoga Tatozzi - è inutile andare avanti». Quindi c'è, secondo il magistrato abruzzese, un chiaro obiettivo da parte del governo, quello cioè di «sopprimere» l'Alto Commissariato anticorruzione, «riportandolo, aggiunge, nell'ambito della Funzione pubblica, esattamente il contrario di quello che io auspicavo: assegnare a questo organismo i poteri di una Authority». Inoltre, uno dei motivi che hanno spinto Gianfranco Tatozzi alle dimissioni è stato anche la legge Finanziaria, e i tagli di spesa previsti dal decreto Bersani che avrebbero portato alla «soppressione automatica dell'Authority anticorruzione». Tatozzi sottolinea il danno per lo Stato dell'emendamento che taglia i termini di prescrizione per i reati erariali. Questo emendamento «fa prescrivere una serie di crediti che lo Stato aveva già valutato come illecitamente riscossi. Una nostra indagine aveva permesso di scoprire una cifra di 310 milioni di euro che erano stati destinati alle imprese per l'agricoltura prima del 1999, ma questa cifra con il maxiemendamento non verrà mai recuperata». Dunque una scarsa sensibilità nei confronti della corruzione più volte sottolineata. A dimostrazione di ciò Tatozzi cita i dati di un sondaggio di «Trasparency international»: «Il 48% degli italiani ritiene che il governo non si impegni su questo fronte, l'11% addirittura che favorisca la corruzione. E in un anno l'Italia è passata dal 40esimo al 45esimo posto tra i 160 Paesi presi in considerazione, con un danno prodotto di 50 miliardi di euro». In due anni di attività tante sono state le indagini avviate e tanto il lavoro fatto, spesso con difficoltà e ostacoli di vario tipo. «Negli ultimi anni della mia attività - conclude - ho ricevuto centinaia di telefonate da parte di privati, che segnalavano illeciti, e non illegittimità, di cui io come ufficio non posso occuparmi». E ora? «Da domani tornerò a fare il magistrato, sperando che ci sia qualcuno che prenderà il mio posto, cosicché questo organismo possa sopravvivere».