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Audizione in vigilanza

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«Il pluralismo non è solo dati» Cappon prova a difendersi

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Così come non poteva non avere conseguenze la decisione di affidare a Biagi, da tempo considerato un «epurato», un programma sulla terza rete Rai. Ed infatti l'audizione di ieri del direttore generale dell'azienda, Claudio Cappon, in Vigilanza Rai è stata l'occasione per i poli per mostrare i muscoli. In generale il tema era quello del pluralismo televisivo, ma alla fine sotto accusa, come ha chiarito il presidente della Commissione Mario Landolfi, è finito l'uso disinvolto e personale della tv di Stato da parte della maggioranza. E con dati alla mano il presidente ha precisato: «Rispetto al 2005 l'Unione ha ribaltato i tempi di presenza nelle trasmissioni televisive. Se a novembre del 2005 la CdL raccoglieva solo il 17.3 per cento oggi nello stesso mese l'Unione ha addirittura il 42.4 per cento». E non vanno meglio le cose quando Landolfi passa ad analizzare i dati del governo che mentre a novembre del 2005 era intorno al 19 per cento «oggi è al 21.3 per cento». Uno «squilibrio evidente» che si aggiunge anche all'aperta violazione della direttiva sul pluralismo varata dalla Vigilanza nel 2003 sotto la presidenza Petruccioli e che vieta la presenza di esponenti politici nei programmi di intrattenimento: «Quest'anno siamo ben oltre i due terzi e siccome siamo in programmi non di informazione, mi pare evidente che le regole siano state violate». Sulla difensiva invece il direttore generale Cappon che spiega come «si è verificata un'evoluzione della tv e dei programmi» con la conseguenza che i confini tradizionali delle trasmissioni di un tempo «si sono modificati». Ma per il dg in generale «il pluralismo, inteso come presenze politiche e istituzionali, sia rispettato, sia in sostanziale equilibrio» e spiegando inoltre che «il pluralismo della Rai non è solo una questione aritmetica». Parole che non convincono il forzista Paolo Bonaiuti che invece incalza il direttore generale: «Ma lei che tv guarda? È veramente convinto che la Rai rispetti le regole del pluralismo?». Domande che per Bonaiuti trovano risposta «in una maggioranza che non ha alcuna logica sulla Rai e che caccia un direttore come Mimun con ascolti vincenti». Ma è sul capitolo Biagi che i toni si scaldano: «È necessario chiarire una volta per tutte la questione degli epurati» tuona Landolfi. Che aggiunge: «Non è vero che Biagi è un epurato. Che venga considerato tale nella dialettica politica posso anche accettarlo ma che lo consideri così la Rai e il suo direttore generale no». Ma l'attacco dell'esponente di An non si esaurisce qui, chiedendo invece al direttore generale di precisare i termini della vicenda e se fosse «vero che Biagi aveva firmato un accordo con l'allora direttore generale Saccà e il direttore di Raiuno Del Noce per un programma biennale in prima serata per un costo di 3 miliardi delle vecchie lire». E se «Ruffini propose di ospitare, su sollecitazione del Cda, "Il fatto" su Raitre» e che «l'accordo saltò solo per motivi di palinsesto. La Rai ha il dovere di dire che Biagi è andato via in seguito ad una transazione». Domande a cui, per ora, il direttore generale non ha risposto, visto che la seduta è stata sospesa per votazioni alla Camera, ma che Cappon si è impegnato a rispondere per iscritto nei prossimi giorni. L. S.

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