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Il ministro Turco: «La forza spirituale di Piergiorgio ha rafforzato la mia scelta»

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Che abbia paura ad adattarsi a questi nuovi scenari». Eppure lei, Livia Turco, di cambiamenti ne ha fatti parecchi in questi ultimi sei mesi, da quando cioè è ministro della Salute. Dai diritti per la donna e il bambino, alla legge sulla droga, dai nuovi criteri di nomina dei direttori scientifici degli enti alle ultima novità per i ticket previste dalla Finanziaria. Più volte è stata attaccata e criticata per le sue scelte, anche da persone della sua stessa coalizione, ma lei è andata avanti, con la lucidità e la determinazione che le appartengono, avendo chiaro fin dall'inizio come volesse essere «ministro della Salute». Il tribunale civile di Roma ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da Piergiorgio Welby, per l'interruzione delle terapie mediche. Quale pensa possa essere la soluzione o comunque la scelta "più giusta"? «In questi casi non penso esista la scelta "giusta". Ho seguito fin dall'inizio la drammatica vicenda di Piergiorgio Welby con totale e grande rispetto e un forte sentimento di vicinanza. Come Ministro ho avviato due iniziative: ho chiesto al Consiglio Superiore di Sanità di chiarire con un suo parere se i trattamenti cui è sottoposto possano definirsi accanimento terapeutico e ho istituito presso il Ministero una Commissione per definire entro la prossima primavera un piano nazionale per le cure palliative e per assicurare procedure e linee guida affinché le migliaia di cittadini nelle condizioni di Welby, o comunque costretti a convivere per anni con la loro malattia, abbiano a disposizione tutti i supporti sanitari e assistenziali idonei. Come persona ho già espresso il mio no, un no discreto, personale, di coscienza, all'eutanasia. Un no che, devo dirlo, la vicenda umana e la forza spirituale, mentale e vitale di Welby ha ulteriormente rafforzato». Ministro quando e perché ha cominciato a fare politica? «Ho iniziato negli anni '70 a Torino. La politica per me è impegno, responsabilità, competenza, sensibilità di ascolto ma soprattutto volontà e capacità di "fare". Per cambiare, innovare, avvicinare le istituzioni al cittadino, rispondere quotidianamente ai veri bisogni e alla domanda di una società più giusta, solidale ed equa. Anche al di là delle classiche divisioni destra-sinistra. Certamente l'Italia di oggi non è quella di trenta anni fa. Ma è indubbio che, soprattutto se pensiamo al welfare e anche se le esigenze particolari sono cambiate, il nostro Paese presenta ancora troppi ritardi e troppe disuguaglianze sul piano dei diritti, dell'equità, della qualità e dell'efficienza dei servizi pubblici». Pensa che oggi, rispetto ad allora, sia più difficile fare politica? «Trent'anni non sono pochi. La società è cambiata e certamente la politica non è rimasta indenne da questi mutamenti. Ma c'è un elemento, un filo rosso fatto di persone, idee, visioni della società e anche del ruolo della politica quale strumento primario per il governo dei processi di sviluppo e crescita delle società, che non abbiamo dimenticato né tanto meno rigettato. E che dobbiamo avere la capacità di riversare nel progetto del Partito Democratico. Detto questo, rispetto agli anni '70 ciò che trovo profondamente cambiate sono le forme e gli strumenti della comunicazione politica. La Tv è certamente la nuova Piazza, il nuovo Palco da dove presentarsi e proporsi. E poi c'è internet insieme alle nuove frontiere multimediali con le quali siamo tenuti a confrontarci per far sì che possano essere validi strumenti di dibattito e crescita collettiva». Come ha trovato, complessivamente, la sanità italiana? «Per usare una metafora medica definirei la sanità italiana come un paziente con una robusta costituzione che ha però bisogno di cura e attenzione per mantenerla sana e, soprattutto, per migliorarla. È questo il nostro obiettivo: ridefinire modi e forme del sistema perché esso sia finalmente completamente orientato verso i bisogni e le esigenze dei cittadini e nella garanzia della più totale equità. Per far questo dobbi

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