Ma la Quercia ha paura: «C'è una crisi»
C'è preoccupazione per il percorso che dovrà portare al Partito Democratico, ma il tema vero sembra essere un altro. E non è un caso che quasi tutti i presenti, leggano con molta attenzione due articoli apparsi sulla stampa di giornata. Da un lato l'intervista del ministro dello Sviluppo Economico Pierluigi Bersani che, sulle pagine di Repubblica, ammette: «Abbiamo smarrito il progetto». Dall'altro la prima puntata di un'inchiesta che l'Unità ha iniziato «sui temi del disagio nel popolo del centrosinistra». Prima tappa, l'Iveco di Brescia. Titolo a cartteri cubitali: «Operai, ultimo appello a Prodi». Insomma, più delle discussioni accademiche sul Pd, a tener banco tra gli esponenti della Quercia è la preoccupazione per un partito che sembra aver ormai smarrito il filo rosso che lo legava al Paese. Il che significa, soprattutto, calo dei consensi. E se Piero Fassino usa l'ormai famosa immagine del «cambio di passo», Peppino Caldarola, uno che le cose non le manda certo a dire, è decisamente più duro: «C'è una crisi politica tra il governo e gran parte del nostro mondo. C'è un'ostilità crescente». Parole condivise da gran parte di coloro che salgono sul palco del Teatro Capranica. Così il ministro della Ricerca Fabio Mussi parla di «rapporto fragilissimo» con società ed opinione pubblica. «Si corre sul filo del rasoio - spiega -. C'è stato un difetto grave nella selezione politica di obiettivi e priorità». Ma di difficile rapporto con la società parlano anche Cesare Salvi, Massimo Brutti e Gavino Angius. Certo, qualcuno potrebbe obiettare che si tratta degli «oppositori» alla linea Fassino, ma l'obiezione cade non appena salgono sul palco Nicola La Torre e Gianni Cuperlo. Il primo parla della necessità di «rendere chiaro il progetto al Paese», mentre il secondo analizza i primi sei mesi di governo e sottolinea: «Ci sono state molte cose positive, ma non manca un filo che metta in sintonia il governo con il Paese». Un altro ministro, Barbara Pollastrini, denuncia invece il «ritardo» dell'attuale classe dirigente sul tema dei diritti. «Penso - commenta - a quanto ho dovuto lottare per strappare in Finanziaria tre milioni di euro per il piano antiviolenza o quanto ho dovuto lottare per il riconoscimento di altri diritti che ritenevo scontati». Insomma nella Quercia c'è la coscienza che, non si può più andare avanti in questo modo, per questo bisogno assolutamente correre ai ripari. Il ministro Damiano prova ad uscire dal coro: «C'è un'azione che ancora non si vede, ma che si vedrà, e anche il Paese comincerà ad apprezzare». Poi, però ammette che da gennaio si dovranno aprire dossier su molti temi «a forte impatto sociale», chiede una «cabina di regia» sulle riforme e sul maxiemendamento ammette: «Non l'ho ancora visto nella sua versione definitiva». Qualcuno in sala sorride e commenta: «C'è qualcosa che non funziona. Decisamente non funziona».