La Corte dei conti
E mette sotto accusa il decreto Bersani, che «presenta vistose disarmonie rispetto alle norme di contabilità». È questo quanto emerge dalla «Relazione sulla tipologia delle coperture adottate e sulle tecniche di quantificazione degli oneri relativi alle leggi pubblicate nel quadrimestre maggio-agosto 2006», che la Corte ha presentato lo scorso 5 dicembre. Altro che risanamento, che riforma delle professioni per la Corte i conti non tornano. In buona sostanza la massima autorità giuridica contabile dello Stato ha fatto le pulci alle norme varate dal governo e che comportano variazioni di spesa. Per la verità poche, in tutto dieci, come proprio la Corte fa notare sottolineando inoltre «l'adozione di un numero eccezionalmente basso di leggi a fronte di un valore medio di 50 negli esercizi precedenti». Di queste dieci in specifico sono sette le leggi che comportano variazioni di spesa con un incidenza per il periodo 2006/2008 di oltre 10 miliardi di euro. Due le normative criticate: il decreto Bersani e le norme per il riordino della Presidenza del Consiglio e dei ministeri. Il decreto Bersani è quello più preoccupante per la Corte visto che graverà più di tutti sul bilancio statale. Circa 9 miliardi e mezzo di euro nel triennio indicato. Come precisa la relazione il provvedimento «ha effetti correttivi estremamente limitati nel 2006» mentre per gli anni successivi i risultati saranno «più significativi». Ma a destare perplessità è la clausola di copertura che «presenta vistose disarmonie rispetto alle norme di contabilità». Disarmonie non di poco conto visto che «inficiano gravemente la leggibilità e la trasparenza delle modalità di copertura delle disposizioni onerose». Ma la bocciatura non si ferma qui visto che anche la copertura di spesa presenta problemi. Infatti il Governo ha assicurato fondi solo per il triennio 2006/2008 «mentre sia parte degli oneri sia parte delle maggiori entrate e minori spese hanno carattere permanente». In breve per tre anni i soldi ci sono poi si vedrà. Ed infine c'è la questione della copertura economica, creata attingendo dai vari accantonamenti del fondo di parte corrente, tra cui quello del Ministero degli Esteri. Un comportamento poco gradito alla Corte visto che, in particolare, l'ultimo è destinato «all'adempimento degli obblighi internazionali» e «che soltanto se non reca pregiudizio può essere impiegato per finalità diverse». Nell'occhio del ciclone c'è poi la legge sul riordino delle attribuzioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei ministeri. A preoccupare è che il riordino comporti oneri aggiuntivi e non sia «realizzato a costo zero» come previsto dalla stessa normativa. Infatti nella relazione si precisa come la legge faccia riferimento al fatto che «l'istituzione di nuove strutture possa dar luogo a spese aggiuntive» ma «nessuna ulteriore notizia è fornita sulle risorse». Anzi riguardo al reperimento dei fondi per la Corte ci sono «ampie perplessità, specie alla luce delle misure di contenimento della spesa previste dalla legge Finanziaria 2006», quella targata Tremonti-Berlusconi. E tra le perplessità la copertura di spesa che è fatta sempre attingendo dai fondi accantonati dai singoli ministeri. Ma stavolta a tirare la cinghia sarà solo D'Alema ed il suo dicastero. Così dopo i tagli strutturali e la decisione di ridurre l'indennità di servizio all'estero per i diplomatici un ulteriore taglio. E dire che Padoa Schioppa aveva assicurato che i sacrifici dovevano riguardare tutti i ministeri.