La sindrome della sinistra, proteste dagli «amici»
Che fossero tempi duri Romano Prodi l'aveva già capito prima ancora del fattaccio di ieri. E la contestazione al Motorshow di Bologna, la sua Bologna, ha confermato semmai una tendenza che il presidente del Consiglio aveva già annusato nell'aria da un po' di tempo. Non si tratta solo di claque organizzate dalla destra. C'è qualcos'altro: un fronte interno alla maggioranza che già mostra sentimenti di insofferenza verso i propri governanti. Li contesta impietosamente. Viola i luoghi sacri della sinistra. Come Mirafiori, dove giorni fa le tute blu si sono rivoltate contro i segretari confederali di Cgil, Cisl e Uil. O come il capoluogo emiliano, che ieri sembrava essere diventato un «covo di fasci». Allora farsi vedere in giro sì, ma il meno possibile. Prodi già da un pezzo ha adottato questa strategia low profile. A Bologna ha quasi completamente rinunciato alla bici. Questione di sicurezza, certo. Ma anche di opportunità. Il timore è che qualche automobilista possa vendicarsi per l'aumento del bollo. A Roma, il Professore si concedeva lunghe passeggiate per le viuzze del centro a braccetto con l'amico Angelo Rovati e placide cene con lo staff alla birreria Peroni vicino Santi Apostoli. Bei tempi. Ora, invece, rimane perennemente barricato a Palazzo Chigi. Fortino dal quale esce soltanto per apparizioni pubbliche ultra selezionate. Possibilmente di fronte a platee bendisposte. Che poi tali non si dimostrano. La contestazione di Bologna, infatti, è solo l'ultima in ordine di tempo. Le cronache recenti narrano di altri quattro episodi analoghi. Nel quali, cioè, il premier credeva di poter giocare in casa e invece ha dovuto fare i conti con il fuoco amico. 8 giugno, Firenze. Prodi partecipa a una cena di costruttori di auto. L'incontro conviviale si tiene alla galleria dell'accademia. Il premier arriva a piedi: aveva voglia di fare due passi. Eppoi la piazza fiorentina è amica, politicamente parlando. A sorpresa, però, invece degli applausi trova la contestazione. La prima da presidente del Consiglio. Sono una ventina di persone in tutto. Gli urlano «buffone, buffone». Lui alza le spalle: «È gente mandata da Berlusconi». Il fatto si ripete. E stavolta il Cavaliere non c'entra. 19 ottobre. Prodi è a Verona per la conferenza episcopale italiana alla presenza del Papa Benedetto XVI. Il Professore si sente in una botte di ferro. Lui cattolico in terra tridentina con il ministro ex democristiano Fioroni che gli fa da spalla. Eppure, all'uscita, un centinaio di presenti lo riconosce. E sono ancora fischi e insulti. Il premier è visibilmente imbarazzato. Per lui parla il suo staff: «È stata una claque». 11 novembre, Crevalcore. Inaugurazione del raddoppio della tratta ferroviaria. Prodi parla della Finanziaria. La platea lo zittisce ancora a suon di fischi. 17 novembre, Roma. Stati generali dell'Antimafia all'auditorium di via della Conciliazione. L'ambiente è molto vicino alla sinistra. Per Prodi dovrebbe essere una passeggiata di salute. E invece le sue parole sono contestate. Si sentono urla di scherno. «Buuu!». «Via!». «A casa!». Il Professore incassa. Stavolta non può prendersela con lo zampino del Cavaliere.