«Deaglio maramaldeggiava in tv»

«Fu così regolare -aggiunge Pisanu- che lo hanno riconosciuto tutti quelli che si sono occupati con competenza dell'argomento». Secondo Pisanu, «vale la pena di ricontare le schede, ma solo per fugare ogni dubbio e che i cittadini siano convinti della legalità del voto». «Resta il fatto -scandisce l'ex ministro dell'Interno- che le Camere e il governo che sono espressione di quel voto sono perfettamente legittimi». Pisanu insiste più volte sulla regolarità di quanto accaduto alle elezioni di aprile. «Anche Minniti andò al Viminale, chiese spiegazioni e i funzionari che erano in servizi gliele hanno date. Lui se ne è andato a casa tranquillamente». A suo giudizio, il meccanismo elettorale non permette brogli se non al seggio. «Ciò non vuol dire che non possono esserci brogli, ma se si verificano sono al di fuori del potere di controllo del ministro - dice Pisanu - ma bisogna immaginare che il seggio diventi una specie di piccola "associazione a delinquere" dove tutti siano d'accordo. Ciò che può invece accadere, e voglio dire per errore, è che un pacco di schede bianche cada nel mucchio di quelle assegnate a un partito. Ma, lo ripeto, ciò può accadere solo al seggio e sotto gli occhi di tutte le persone che ne fanno parte». Pisanu ribadisce anche la regolarità della sua visita, la notte delle elezioni, al presidente del Consiglio: «È dovere del ministro dell'Interno riferire al presidente del Consiglio lo stato della sicurezza e dell'ordine pubblico». Più avanti annuncia: «Certo che querelerò Deaglio. All'inizio, la "bufala" era così evidente che ho detto che sarebbe stata una sciocchezza. Ma poi lui è andato a maramaldeggiare in tv. E a quel punto l'intento diffamatorio era troppo grave». «È sbagliata la premessa, è sbagliato l'impianto perché -dice Pisanu- quella ricostruzione parte dal presupposto che ci sia nel sistema telematico di comunicazione dei dati la possibilità di modificare il flusso in corso d'opera e questo non è vero». Dal voto ai sondaggi. Altri dati infiammano il centrodestra. È bastato un'indagine pubblicata da Il Giornale secondo la quale i consensi dell'Udc, dopo lo strappo di Pier Ferdinando Casini, si sarebbero dimezzati per far tornare alta la tensione nel centrodestra. Se il leader dei centristi si trincera dietro un prudente «no comment», la reazione del collega di partito Mario Baccini ai dati del quotidiano milanese è stata infatti durissima. «Ancora una volta, non tanto da parte de il Giornale, che fa il suo mestiere, ma da parte del mandante che c'è dietro mi pare vi sia l'intenzione politica di aggredire l'Udc e il suo leader Pier Ferdinando Casini», ha attaccato l'ex ministro. «Tutta questa pressione sul nostro partito - ha poi ammonito il centrista - non sposta di un millimetro la nostra posizione, anzi la radicalizza sempre di più». Ma se da Forza Italia e Alleanza Nazionale nessuno replica alle parole di Baccini, in serata un commento di Umberto Bossi la dice lunga sui rapporti fra i partner della Cdl e i centristi. «Casini? "Nomen homen", il nome spiega tutto», ha ironizzato il Senatur.