Rotondi: «La Democrazia Cristiana terza gamba del Ppe con An e Fi»
È ovvio che c'è un fine». Risponde così Gianfranco Rotondi, leader della Democrazia Cristiana per le Autonomie, quando gli si chiede di commentare la strategia di Pier Ferdinando Casini. Per lui, che nel 2004 lasciò l'Udc per dar vita ad una nuova formazione politica nel solco della tradizione democristiana, «dietro le mosse dell'amico Pier c'è un obiettivo chiaro». Quale? «Recuperare quello che il suo partito ha perso». Cioé? «Ovviamente potere, ma anche l'esclusiva di un'identità. Oggi non è più scontato dire che l'Udc rappresenta ciò che resta della Dc». E lei, ovviamente, ne è contento. «Vede, la mia operazione, anche se non ha raccolto un clamoroso risultato elettorale, ha contribuito a rompere un tabù su cui si fondava la Seconda Repubblica». La morte della Dc? «Più precisamente il fatto che non si poteva in alcun modo far rinascere la Dc». In effetti oggi gli ex democristiani hanno solo l'imbarazzo della scelta. «Certo, oggi si litiga su chi la deve rifare. C'è Casini che dice che non vuole "sculettare dietro a Berlusconi" (evidentemente vuole "sculettare" da solo). Ci siamo noi, c'è l'Udeur di Mastella, gli ex Ppi della Margherita, che si sono riscoperti democristiani, ci sono altri piccoli partiti e c'è Prodi». Prodi? «Il Professore ha finalmente chiuso la sua piroetta partecipando al congresso della Dc di Pizza». Senta, lei avrà anche rotto un tabù, ma ha creato un vero pandemonio. «La mia operazione, anche se non è perfettamente riuscita sul piano elettorale, è riuscita sul piano culturale. Per questo sono disposto ad accettare il bando di concorso su chi è titolato a rifare la Dc». Dobbiamo aspettarci altri anni di litigi su nomi e simbolo? «Sono stanco di litigare sul simbolo sul quale, tra l'altro, avrò ragione il 20 dicembre. Dico solo che chi vuole rifare la Dc mi deve temere». Perché? «Perché conosco la loro storia personale. Posso raccontare di generali che hanno abbandonato la nave prima che affondasse e hanno contribuito a distruggere la loro tradizione». Faccia i nomi. «I democristiani che hanno tradito devono andare in pensione. Se vogliamo far rinascere la Dc dobbiamo puntare su coloro che non sono stati compromessi nella prima e nella seconda Repubblica». Pensa anche a Casini e Mastella? «A loro dico: va bene il dialogo, ma sia chiaro che chi ha già fatto tre legislature deve lasciare. E, siccome anch'io sono alla terza legislatura, mi tiro fuori. Serve un rinnovamento». Scusi, ma andasse in porto questo progetto, dove si collocherebbe la «nuova» Dc? «La Dc sarà un partito che deve giocare nel bipolarismo. Non ci sarà nessun terzo Polo. E, in tutto il mondo, la Dc è alleata della destra». Quindi si resta nella Cdl? «Non capisco perchè dovrei fare un'alleanza con chi grida in piazza "10, 100, 1000 Nassiriya" invece che con Fini che rappresenta una destra democratica che vuole entrare nel Ppe». C'è un altro problema, i voti. Berlusconi ha detto che FI è ormai ai livelli della vecchia Dc. «Certo, se tutti si buttano a sinistra è chiaro che gli elettori, nel dubbio, votano FI. Le dirò, la mia Dc non è in competizione con l'Udc, ma con Forza Italia». In sintesi, qual è il suo obiettivo? «Io penso ad un grande Ppe italiano a tre gambe. Una trainante con Berlusconi e FI. Una forte con An e infine noi che dobbiamo lavorare ad un rafforzamento della Dc. Insomma penso ad un partito che possa raccogliere il voto di un italiano su due. E ai miei amici dico: invece di fare un nuovo "cespuglio" lavoriamo per un forte Ppe da contrapporre ad un grande partito socialista della sinistra». Non mi sembra esattamente la linea di Casini. «Casini ha preso una decisione diversa, non passo la notte a piangere e, francamente, sono molto più preocuppato della mia scelta politica. Quel che resta della Cdl deve andare avanti verso una coagulazione in un grande Ppe. Dobbiamo contrappore a Casini una proposta politica che lo metta in difficoltà». A quel punto il suo amico Pier Ferdinando che farà? «E che me ne importa? Intanto io gli porto via voti».