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di FABRIZIO DELL'OREFICE C'E'.

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Colorato, spezzettato, caciarone. Ma anche fuso, unito, coeso. Insomma, è il popolo delle libertà. Per la prima volta - in una manifestazione nazionale - si trovano fianco a fianco leghisti e alleati nazionali, democratici cristiani e neofascisti. L'immagine di questo popolo è una coppia di Verona, Mario e Adriana, che camminano per via Labicana. Lei ha in mano una bandiera di Alleanza nazionale, lui quella di Forza Italia. Spingono un passeggino con una bimba di due anni. Dorme. Loro promettono: «Da grande sarà leghista», e ridono. Insomma, tra la folla le differenze si assottigliano. Le bandiere si confondono in un unico fiume colorato. Le differenze si assottigliano, dunque. Ma non si annullano. Anzi. E si vedono tra i ragazzi, che per la prima volta dovevano fare un corteo tutti assieme. Si radunano a piazza Indipendenza, ma lì il corteo stenta a partire. Gli organizzatori chiamano i capi dei giovani: «Ma che state facendo? Mettetevi in marcia, è tardi». E quelli restano fermi. E si capisce: ci sono quelli di An, quelli di Forza Italia ma mancano quelli della Lega. I soliti leghisti. Che fine hanno fatto? Hanno scelto di stare con i grandi, nel corteo nel centro Nord. E si capisce perché stanno qua, cominciano già al Circo Massimo a tirare fuori i loro slogan: «Abbiamo un sogno nel cuore: abbasso il tricolore». Quelli di Forza Italia tirano occhiate. So' ragazzi. E vabbè. Più avanti uno striscione intima: «Da forze armate a polizia, per Prodi il foglio di via». Ci sono le bandiere di An. E parte l'urlo anni Settanta: «Boia chi molla è il grido di battaglia». Il drappello di forzisti d'avanti e i leghisti di dietro non seguono. Anche le differenze restano, ma svaniscono, non si vedono quando i cori diventano anti-Prodi: «Prodi, D'Alema, l'Italia non è scema» attacca uno e tutti dietro, indipendente dalle bandiere, a fargli il coro. Perché alla fine il vero collante è diventato l'antiprodismo, l'antitassismo, l'antisinitrismo ideologico. Il popolo delle libertà è questo. È quello che si mette la maglietta «Sarò pazzo ma non sono coglione». È quello che si mette a ridere se i ragazzi urlano «Luxuria travestito, Bertinotti suo marito». O quello che si sente fiero dietro lo striscione «Senato appeso al filo... del catetere». Il popolo delle libertà, dunque, c'è. Magari con le sue identità, ma c'è. È comunque un tutt'uno. Cammina tutto assieme forse ad un passo più veloce dei suoi leader. Arriva - non a caso in ritardo - il leghista Roberto Castelli. Arriva trafelato e cerca il suo corteo: «Un unico popolo? Insomma, non corriamo. Le differenze ci sono. La Lega è la Lega». D'accordo, ma poi alla fine i leghisti cantano gli stessi slogan degli altri... «Senta quelli della Lega sono straordinari. C'è gente che è partita stanotte alle 3 e tornerà a casa domani mattina alla 4. Venticinque opre per manifestare. La Lega è la Lega. Possiamo essere d'accordo su alcuni punti. Tutto qua». Se ti sposti nel corteo del centro, tutte queste identità non si sentono più. Eppure è quello più composito. Ci sono i giovani, gli anziani. I Riformatori liberali, i radicali di destra, tutti in arancione, e quelli della Fiamma, tutti neri, marcia militare, passo marziale. Ma si sentono un unico blocco. E ancora più uniti si sentono quelli di Colli Albani, il corteo del Sud. Qui le identità si annullano. E infatti Mario Landolfi (An) si lascia andare all'entusiasmo: «Qui sta sfilando il popolo delle libertà che aspetta il partito della Libertà». E aggiunge: «Questa manifestazione e tutta questa gente dimostrano che l'opposizione oggi è la vera maggioranza nel Paese. Qui c'è una mobilitazione popolare contro il governo e una Finanziaria fatta solo di tasse». E la pensa così anche un altro uomo del Sud, come il pugliese Raffaele Fitto: «Una grande piazza, un intero quartiere pacificamente invaso dal popolo della libertà». La divisione è anche questa, soprattutto geografica. È il popolo che va ai gazebo dell'organizzazione e ritira una bandiere di Forza Italia e una di An. Ma è

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