Da Palazzo Chigi sostegno al premier libanese Siniora
L'offensiva italiana nella Ue per la pace in Medio Oriente
In parallelo, cercando di coinvolgere Siria ed Iran, affinchè «facilitino e non ostacolino» il dialogo. Queste sono le grandi linee sulle quali si muove l'azione di politica estera dell'Italia per il Medio Oriente in queste settimane, nel giorno in cui le Forze armate sono uscite definitivamente dall'Iraq. A fare il punto sullo stato dell'arte dell'iniziativa diplomatica italiana è stato ieri il premier Romano Prodi in un intervento ad un convegno dell'Aspen Istitute: un lungo discorso tutto teso a rendere chiaro come la questione libanese ed il conflitto israelo-palestinese siano sempre più pericolosamente intrecciati e l'Europa debba prendersi le proprie responsabilità raggiungendo la coesione necessaria per essere un interlocutore credibile. Se la tregua di Gaza ed il discorso del premier israeliano Ehud Olmert rappresentano «un piccolo spiraglio» positivo, è oggi il Libano che «preoccupa» Romano Prodi. Come efficacemente dimostra l'allarme lanciato dal presidente egiziano Hosni Mubarak, una delle antenne meglio sintonizzate della regione: «È possibile che Teheran invii rinforzi ad Hezbollah». Quindi, mentre i sostenitori di Hezbollah non mollano la piazza e continuano a chiedere le dimissioni dell'attuale premier libanese, il presidente del Consiglio mostra una certa calma tornando a rendere pubblico il pieno sostegno dell'Italia a Fuad Siniora. Prodi lo ha infatti chiamato l'altra sera per incoraggiarlo: «L'ho trovato motivato e determinato ad andare avanti ed a resistere alle intimidazioni», ha spiegato il premier, che contestualmente ha inviato Massimo D'Alema a tornare il più presto possibile a Beirut; una visita che si effettuerà, precisano alla Farnesina, il prima possibile e comunque entro Natale, e che si inserisce in una sorta di pellegrinaggio politico che tanti ministri degli Esteri occidentali stanno compiendo in Libano per puntellare il traballante esecutivo del moderato Siniora. Contestualmente, il Governo mantiene strettissimi contatti con gli Stati Uniti: il titolare della Farnesina ha avuto nei giorni scorsi un ulteriore colloquio con il segretario di Stato Condoleezza Rice ad Amman, che ha avuto il duplice obiettivo di chiudere le polemiche antiamericane per l'invasione irachena e convincere Washington che non si può più ritardare un pieno dialogo con l'intero mondo arabo, nessun Paese escluso. Ma se Siria ed Iran restano per il Governo essenziali nel favorire una «facilitazione del dialogo» in Medio Oriente, lo scoglio che Palazzo Chigi e Farnesina stanno cercando di superare è tutto europeo. Alla «cocciutaggine» di Chirac - per usare una definizione di una fonte diplomatica - che si tiene alla larga da un coinvolgimento maggiore della Siria dopo l'attentato che, nel febbraio 2005, costò la vita all'ex premier libanese Rafik Hariri, si aggiunge la timidezza della Germania ad assecondare le iniziative del gruppo dei tre Paesi mediterranei (Italia, Francia e Spagna) per il Medio Oriente. E, naturalmente, il significativo silenzio di Londra, capitale di un Paese saldamente ancorato ad una politica di disciplinato atlantismo. Prodi e D'Alema hanno quindi mobilitato la diplomazia italiana dentro la Ue per convincere quanti più Paesi possibile a schierarsi, ad uscire dal limbo. Il premier è ormai convinto che in questa fase è «irrealistico» pensare di arrivare ad un accordo permanente sul Medio Oriente, ma che bisogna arrivarci per tappe: non attraverso una Conferenza internazionale, che potrebbe rappresentare il suggello di un cammino di pace già percorso.