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di MAURIZIO GALLO E VA BENE.

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E i processi che li riguardano siano in corso. Comprendiamo anche che le antiche ferite debbano essere ormai considerate cicatrici, il dolore subito curato dal tempo, il vuoto lasciato dalla scomparsa prematura delle persone amate colmato dalla pietà e, se possibile, dal perdono. Ma a tutto c'è un limite. Per questo ci sembra inaccettabile l'iniziativa della Cgil di Viterbo, che il 7 dicembre ha organizzato nella sede della Provincia un incontro per presentare il libro del giornalista Giovanni Fasanella «Guido Rossa, mio padre». Non solo la sede (pubblica) dell'incontro ci appare inopportuna, una convinzione rafforzata dalla partecipazione del presidente dell'amministrazione locale Alessandro Mazzoli, che è dei Ds ma rappresenta tutti i cittadini della Provincia. Invitare insieme con la figlia del sindacalista della Cgil assassinato dalle Brigate Rosse il 24 gennaio 1979 a Genova uno dei «progenitori» delle Br Alberto Franceschini è davvero troppo. E se la forma spesso è sostanza, è ancor più sbagliato, riteniamo, il «titolo» scelto per colmare lo spazio sull'invito sotto il nome di Franceschini: «Fondatore brigate rosse». Comprendere, perdonare, cercare una ragione anche all'assurdo è giusto. Dimenticare, però, è sempre e comunque un errore. Comportarsi come se nulla fosse successo, un abbaglio. Mettere tutto e tutti sullo stesso piano, una mostruosità. Il limite è stato superato. E non è soltanto una questione di stile.

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