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Prodi perde anche i «prodiani»

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Era già accaduto un anno e mezzo fa quando l'ex sindaco di Roma, in un'infuocata assemblea federale, aveva detto «no» alla lista unitaria dell'Ulivo alle politiche. Allora era finita con 224 voti a favore della proposta Rutelli, 58 contrari (i voti degli ulivisti-prodiani), 16 astenuti e Romano Prodi che commentava da Pechino: «È un suicidio». Oggi la storia sembra ripetersi. La Margherita, infatti, è pronta a presentarsi al congresso di primavera con due mozioni, entrambe favorevoli al Partito Democratico, ma con alcuni distinguo. In particolare, mentre Rutelli è sembrato più attento a mediare tra le varie posizioni raccogliendo attorno a sé la maggioranza del partito (gli ex Ppi di Franco Marini, Lamberto Dini e i suoi, i teodem e i liberali di Valerio Zanone), gli «ulivisti-prodiani» di Arturo Parisi hanno scelto di essere netti fissando anche un termine temporale: entro gennaio 2008 la Margherita dovrà cessare la propria attività politica. Stavolta, però, qualcosa è cambiato. La componente guidata dal ministro della Difesa, infatti, ha dovuto registrare alcune defezioni. Tre «big» come Enzo Bianco, Pierluigi Mantini e il presidente della Provincia di Roma Enrico Gasbarra, oltre a Andrea Colasio e Franco Cioffarelli, hanno infatti sottoscritto la mozione Rutelli. E il fronte dei «prodiani», comincia a scricchiolare. Tanto che, nella maggioranza del partito, qualcuno si domanda apertamente: «Ma Prodi è d'accordo con questo affondo di Parisi?» Palazzo Chigi ovviamente tace, ma il presidente dell'Assemblea Federale della Margherita, il «prodiano» Willer Bordon, si concede una battuta: «Per nostra fortuna di "prodiani" in Italia ce ne sono molti, ma molti di più. E comunque credo che il Presidente del Consiglio abbia ben altre preoccupazioni». Insomma, quella portata avanti da Arturo Parisi e dai suoi sembra essere una battaglia «autonoma» che, secondo Bordon, potrà permettere alla Margherita di «trovare una soluzione unitaria più larga». «È un po' singolare - commenta il senatore - che in un congresso per mozioni venga considerato straordinario il fatto che qualcuno presenti una mozione». «Evidentemente - continua Bordon - alla base c'è la necessità di rendere esplicite alcune posizioni che non sono state del tutto raccolte nell'altra mozione. Si tratta in particolare di quattro punti: la necessità di fissare un termine chiaro per la cessazione delle attività della Margherita, sancire il principio "una testa un voto", appoggiare il referendum elettorale e stabilire la contendibilità della leadership». Sarà, ma sullo sfondo restano le defezioni di Bianco, Mantini e Gasbarra che, in molti leggono come un ulteriore impoverimento della componente «prodiana» e, quindi, del premier all'interno della Margherita. Per l'ulivista Franco Monaco, però, si tratta di «defezioni molto circoscritte, legittime, che riflettono un diverso giudizio circa la distanza che separa le due mozioni». Enrico Gasbarra però, è convinto che quelle distinzioni, in realtà, non ci siano, per questo lancia un appello: «Ora che il traguardo del Partito democratico sta per essere raggiunto, la Margherita non può dividersi o articolarsi su mozioni congressuali differenti solo nelle virgole. Faccio appello a tutti gli esponenti della Margherita affinchè ci si unisca nella mozione del presidente Rutelli». Insomma, il lavorio per arrivare al congresso con una soluzione unitaria è già cominciato anche se qualcuno, molto realisticamente commenta: «Hanno deciso di contarsi, ma è una scelta molto rischiosa. Tutti sanno che Parisi è tra i più stretti amici di Prodi. È veramente convinto che tutto questo faccia bena al premier? Fino ad oggi la minoranza pesava il 20%, ma senza Gasbarra e Bianco gli andrà bene se arriveranno al 5%».

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