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Casini porta in trasferta con sè un senatore E l'Unione incassa il primo sì al decreto fiscale

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Il decreto fiscale supera il primo scoglio e incassa i presupposti di necessità e urgenza del provvedimento. Domani il centrodestra tenterà di ripetere l'assalto: infatti è in programma la votazione dei presupposti di costituzionalità del decreto. L'Unione ieri ha serrato i ranghi e ha battuto 161 a 154 e, senza eccessivo stress, una opposizione che ha chiesto tenacemente ben 11 voti sul decreto fiscale ma che, contando i presenti in aula, sapeva già di essere destinata alla sconfitta. Nell'opposizione c'è più di qualche assenza, i senatori a vita non ci sono tutti, solo 4 su 7 ma bastano, anzi, addirittura, ieri erano superflui sempre perché ai 156 voti dei quali può disporre il centrodestra, mancavano all'appello quelli dei senatori Gino Trematerra (Udc), in trasferta a New York con Pier Ferdinando Casini e quello di Egidio Sterpa, tenuto a letto da una febbre alta, mentre ai 158 voti disponibili per il centrosinistra si sono aggiunti i tre voti dei senatori a vita Carlo Azeglio Ciampi, Emilio Colombo e Francesco Cossiga. Giulio Andreotti, invece, non ha partecipato al voto, pur essendo presente in aula. A favore hanno votato anche i senatori indipendenti Luigi Pallaro e Sergio De Gregorio. Fatto sta che ieri l'opposizione non ha potuto fare il colpo gobbo di qualche giorno fa quando affondò, con un solo siluro ad altezza di linea di galleggiamento, la nave della maggioranza sul decreto sugli sfratti. L'Ulivo ha raschiato il fondo e, come al tempo del Pci, tutti i suoi senatori sono stati comandati in aula, ben sapendo che, se la maggioranza fosse stata battuta, il colpo da gobbo sarebbe stato molto più grosso perché la mina esplosa sotto il decreto fiscale avrebbe portato con sé la legge finanziaria e la vita dell'esecutivo. E passato il pericolo, la maggioranza si è presa la briga di beffeggiare l'opposizione. «L'unico motivo di rammarico dopo il voto al Senato — afferma il presidente dei senatori del Prc Giovanni Russo Spena — è che l'onorevole Berlusconi, contrariamente a quanto annunciato, non sia venuto a palazzo Madama. Avrebbe constatato di persona la tenuta e la saldezza della maggioranza. Speriamo che arrivi domani — ha aggiunto — quando si voterà la pregiudiziale di costituzionalità. Per l'Unione la sua presenza sarebbe un piacere, anche perché rafforzerebbe ulteriormente la nostra determinazione». Sul fronte opposto i nervi sono scoperti. Ad accendere la miccia è stata una sortita di Cossiga. «E ora — ha detto il presidente emerito della Repubblica dopo il voto — Prodi ringrazi Casini». E a chi gli chiedeva se secondo lui l'Udc avesse salvato il governo, il Picconatore ha risposto: «Non lo sospetto, anzi, lo apprezzo. Loro sono usciti dalla Cdl, pigliano insulti mattina, pomeriggio e sera da Berlusconi, dicono che non è più il leader». Il capogruppo di Forza Italia in Senato Renato Schifani non ha provato nemmeno a fugare i dubbi sul comportamento dei suoi alleati: «Ognuno ha il diritto di sollevare i sospetti che crede. L'assenza dell'Udc è dovuta a una missione, mentre noi per questa volta le missioni le abbiamo sospese. Comunque sarà l'Udc a dover chiarire davanti all'opinione pubblica queste assenze». Lette le agenzie, il capogruppo dell'Udc, Francesco D'Onofrio è volato in sala stampa e come un fiume in piena ha attaccato Cossiga. «Anziché porsi il problema di come ha votato l'UDC dica come ha votato lui, visto che il voto è pubblico. Io non sono esperto di gossip a differenza di altri. Mi auguro che dopo il voto di oggi si capisca una volta per tutte che nel Senato l'opposizione compatta ha 156 voti ed è minoranza in aula anche senza i senatori a vita. Visto che nell'opposizione erano assenti due senatori».

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