La maggioranza ora rallenta i lavori alla Camera
C'è il rischio di dover riscrivere l'intera Manovra
Aspetta. Come Quinto Fabio Massimo il Temporeggiatore ai tempi della seconda guerra punica, anche la maggioranza attende. Solo che stavolta i nemici non sono dall'altra parte della barricata, ma sono al proprio interno. Alla Camera infatti la maggioranza nel corso della giornata di ieri ha dilatato i tempi della discussione, ha preso tempo, addirittura la seduta è stata sospesa a metà pomeriggio per un motivo procedurale. In pratica è stata adottata la tattica al contrario degli ultimi giorni quando l'Unione ha fatto lavorare i suoi deputati anche di sabato e di domenica sino a mezzanotte. E allora? Che succede? Semplice: si chiama panico. Paura. Timore. Preoccupazione. Insomma, fifa, fifa di andare sotto, chiudere le saracinesche e andare tutti a casa. Chiaro, nessuno nel centrosinistra la metterà in questi termini perché cercheranno tutti di trovare qualche giustificazione di alta politica. Tutto falso, la verità è che la maggioranza ha paura. Paura del Senato. Palazzo Madama, infatti, oggi voterà le pregiudiziali di costituzionalità al decreto fiscale, come richiesto dall'opposizione. Se ne passerà una, come accaduto al decreto sugli sfratti il 25 ottobre scorso, l'intero testo decadrà. E siccome va considerato come un pezzo della Finanziaria, tutta la Manovra sarebbe traballante. Il governo, in ipotesi, sarebbe costretto a non poter ripresentare un decreto (che, com'è noto, è immediatamente in vigore), ma dovrebbe redigere un disegno di legge la cui approvazione diventerebbe a ostacoli. È fantapolitica. Probabilmente sì, di certo c'è solo che la maggioranza ha tirato il freno a mano. I tecnici dell'Unione, infatti, ritenevano possibile l'approvazione della Finanziaria per domenica. Tanto che era stato preparato anche un sms mandato in mattinata sui telefonini di tutti i deputati con l'implicito invito a serrare i ranghi. Nel pomeriggio invece è stato annunciato il dietrofront, si rallenta. E ancora: il governo aveva deciso di porre la fiducia in caso di ostruzionismo della maggioranza. L'ostruzionismo c'è, ma la fiducia ancora non si vede. Perché tutte queste incertezze? L'Unione aspetta di vedere che cosa accadrà al Senato. Se il decreto fiscale sarà cassato, cancellato, il governo è pronto a presentare un bel maxiemendamento che ne raccolga le decisioni più importanti e faccia marciare l'intera Manovra. Per questo la fiducia potrebbe essere posta domani, se oggi Palazzo Madama voterà tutte le pregiudiziali. Più probabile che tra riunioni di capigruppo, sospensive e altro nell'aula presieduta da Franco Marini si arrivi al voto soltanto domani o addirittura giovedì. La maggioranza è insomma alle prese con mille difficoltà e con diecimila divisioni. Per esempio con quelle sul Tfr, articolo 83 della Finanziaria. Ma l'opposizione, invece di accelerare per portare in Parlamento le spaccature dell'Unione, aiuta a rallentare. Ci pensa Lorenzo Cesa, segretario Udc, che attacca Bertinotti: «Qui la Finanziaria cambia di continuo. C'è un assalto alla diligenza da parte della maggioranza, con decine e decine di emendamenti presentati. Noi accusiamo fortemente il presidente della Camera che si presta a questo gioco. Fa l'uomo di parte anziché il presidente del Parlamento. Gli ricordiamo che non è più capo di Rifondazione comunista». Bertinotti ne fa un caso: «Sono impegnato a trovare con l'opposizione un calendario dei lavori condiviso». Poi si va in conferenza dei capigruppo e quello di Rifondazione attacca quello dell'Udc, Luca Volontè, che si alza e se ne va. Lo seguono gli altri del centrodestra. E tutto s'impantana di nuovo. Ormai è saltata qualsiasi tattica, nessuno sa più che fare.