Il Nucleo di valutazione della previdenza «Bisogna intervenire o anziani più poveri»
Da questo meccanismo pare non si scampi. Uno studio del Nucleo di valutazione della spesa pensionistica ha messo in evidenza che fermo restando così il sistema previdenziale, ovvero con i coefficienti di rivalutazione del montante contributivo stabiliti dieci anni fa dalla Legge Dini, c'è il rischio di una diminuzione dell'importo delle pensioni dell'8%. Ma andiamo con ordine. La legge di riforma di Dini del 1995 definì come andava rivalutato l'insieme dei contributi versati durante la vita lavorativa (il cosidetto montante contributivo) ma decise anche che dopo dieci anni bisognava aggiornare questi indici. Il motivo di questo aggiornamento è dovuto al fatto che la vita media si sta allungando e quindi per mantenere in equilibrio il sistema previdenziale e consentire all'Inps di avere soldi sufficenti a pagare le future pensioni, gl indici vanno modificati. La revisione doveva scattare nel 2005 ma il governo precedente preferì soprassedere a questo spinoso problema. Ora i tempi non si possono più allungare e il nodo va sciolto prima possibile. Il rischio è che se non si interviene le pensioni rischiano di subire un taglio dell'8% come ha detto il Nucleo di valutazione della spesa previdenziale. Cosa fare per evitare questa eventualità? Non ci sono molte alternative: o viene alzata l'età pensionabile quindi si va in pensione più tardi o ci si adatta ad avere un assegno previdenziale più basso perchè spalmato su più anni dal momento che la vita si è allungata. Altra ipotesi è di aumentare l'entità dei contributi versati ma si tratta di una scelta politica difficilmente perseguibile poichè i contributi sono già elevati. Il problema quindi è di conciliare la necessità di mantenere il sistema previdenziale in equilibrio e di assicurare ai futuri pensionati una pensione che non sia da fame. Va ricordato che siccome il sistema previdenziale è a ripartizione, ovvero i contributi versati dai lavoratori attivi servono a pagare le pensioni a chi non è più in servizio, è necessario che i versamenti siano equilibrati alla durata media della vita. Più la vita si allunga e più a lungo gli enti dovranno pagare le pensioni. Ecco perchè una delle soluzioni è di alzare l'età pensionabile. È questo il vero nodo previdenziale che il governo dovrà affrontare a partire da gennaio quando si aprirà il tavolo tecnico di confronto con le parti sociali. Si tratta di una scelta obbligata e non solo perchè stabilita dalla legge Dini ma perchè senza interventi le pensioni non possono che diminuire. La riforma Maroni ha già alzato l'età di pensionamento per coloro che hanno il sistema contributivo a 65 anni per gli uomini e a 60 anni per le donne. Il governo ha ventilato l'ipotesi di introdurre un sistema di incentivi per favorire l'allungamento della vita lavorativa ma non tutti sono d'accordo. La sinistra estrema, Rifondazione e Comunisti non ne vogliono sentir parlare di alzare l'età di pensionamento e anche i sindacati hanno messo diversi paletti. Questa situazione è aggravata anche dalla posizione dei giovani che hanno una vita professionale discontinua caratterizzata da vuoti contributivi e che quindi avranno un domani un montante contributivo veramente esiguo su cui calcolare la pensione. Sarà quindi questo il vero motivo di scontro all'interno della maggioranza e tutto si svolgerà sulla pelle dei futuri pensionati.