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I magistrati rilanciano: ora serve anche un'amnistia

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È passata infatti all'unanimità al plenum di Palazzo dei Marescialli la risoluzione che avverte che almeno otto processi su 10 finiranno nel nulla, cioè con «l'applicazione di una pena interamente condonata»; e che in qualche modo rilancia la questione dell'amnistia, ricordando che in passato i due provvedimenti hanno marciato sempre di pari passo, proprio per evitare un problema di questa portata. Parole che non vanno interpretate come una sollecitazione alla politica a mettere in cantiere l'amnistia, si è affrettato a spiegare il vicepresidente del Csm Nicola Mancino, subito dopo l'approvazione della delibera: «Non abbiamo suggerito la strada dell'amnistia perchè non è nostro compito; è una scelta del Parlamento, che si assume la responsabilità di fronte al Paese». Certo, ha riconosciuto Mancino, nel documento c'è una «sottolineatura significativa dei tanti provvedimenti di indulto che sono stati accompagnati dall'amnistia. E a buon intenditor... Ma - ha insistito - non vogliamo passare per quelli che sollecitano l'amnistia», anche perchè «non siamo la Terza Camera». Una precisazione forse inevitabile, anche alla luce del fatto che diversi consiglieri nel dibattito che ha preceduto il voto avevano esplicitato la loro contrarietà a un provvedimento di clemenza, e che Mancino ha fatto in una conferenza stampa (con i relatori e il presidente della Commissione Riforma, Fabio Roia) in cui non sono mancati spunti polemici, nei confronti di chi ha votato l'indulto e che ora se ne dissocia («l'80% di chi ha votato l'indulto ha meno titolo per parlare del 20% che ha combattuto questo provvedimento») o di chi, pur avendo le competenze per farlo non ha valutato le conseguenze di un indulto sganciato dall'amnistia: «L'impatto dell'indulto mette in difficoltà la macchina giudiziaria. Il Parlamento, però, non è privo di grandi giuristi. Mi chiedo come mai non siano state valutate fino all'ultimo le implicazioni di un percorso che va su un solo binario». Una battuta Mancino l'ha riservata anche al ministro della Giustizia. Ai giornalisti che gli chiedevano se suggerirebbe a Mastella di farsi promotore dell'amnistia ha risposto: «Io non do consigli, ma se si tiene lontano, non allontana comunque da sè i problemi relativi all'organizzazione giudiziaria». L'allarme del Csm è affidato a quattro pagine fitte, in cui si definisce «drammatica» la situazione che si determinerà per effetto dell'indulto. Più forti le espressioni usate dai relatori della delibera: è una vera «emergenza», a carico di una giustizia penale già «malata», ha detto Ezia Maccora; e se il documento parla dell'80% dei reati destinati a finire nel nulla, Livio Pepino ha ammesso che «siamo molto vicini al 90%». In cifre, questo significa che nel solo distretto di Torino diverranno inutili 40 mila procedimenti. La risoluzione è in risposta a una sollecitazione del ministro della Giustizia Mastella, che a settembre aveva chiesto al Csm di verificare la possibilità di indicare ai responsabili degli uffici giudiziari «criteri di priorità per la trattazione dei processi», dando la precedenza a quelli non toccati dall'indulto, proprio per evitare alla macchina giudiziaria di girare a vuoto. Una possibilità che non c'è, perchè dire ai capi degli uffici quali processi fare e quali no, ha spiegato Mancino, sarebbe in contrasto con il principio costituzionale dell'obbligatorietà dell'azione penale.

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