Il commento
E sono tanti i punti di vista e gli interessi legittimi in ballo. Ieri a Roma hanno sfilato migliaia di pensionati. Forse vi sorprenderà sapere che il primo punto della loro protesta non è questa finanziaria ma è una norma contenuta nella manovra di Giuliano Amato del '93, cioè la legge che all'inizio degli anni Novanta ha fortemente ridotto l'indicizzazione delle pensioni. Di fatto i redditi dei pensionati non hanno più avuto quasi alcuna rivalutazione e ora sono ridotti in termini di reale potere d'acquisto. Un grave problema che deve anche valere da lezione. In questi giorni si discute di riforma delle future pensioni. Una legge già approvata stabilisce il passaggio brusco da 57 a 60 anni dell'età pensionabile per il trattamento di anzianità. È un primo tentativo, sia pure rozzo e insufficiente, per provare a portare il sistema in equilibrio. Il governo in carica ha dapprima escluso di occuparsene in finanziaria (scelta politicamente difficile ma che avrebbe accorciato i tempi) e ora punta a un accordo con i sindacati entro il 31 marzo 2007 per cambiare quella legge e ottenere più gradualità nell'innalzamento dell'età. Anche questa blanda riforma, però, non piace a qualcuno nel governo ed è contestata da molti nella maggioranza e anche nell'opposizione. Non fare niente, però, significherebbe mantenere un sistema che consente a migliaia di persone di andare in pensione a 57 anni. E poiché (per fortuna) l'età media si sta allungando significherebbe caricare le spalle del sistema previdenziale di costi molto ingenti. A pagare saranno i lavoratori di oggi e quelli che in questi anni cominciano a lavorare. Particolarmente quelli che hanno ora meno di 40 anni o sono sulla quarantina. La loro prospettiva, sono dati inconfutabili, è di andare in pensione con assegni pari a circa il 40% dell'ultimo stipendio (mentre ora si ottiene, in media, il 70%). La protesta di ieri ci insegna che non c'è niente di acquisito nel trattamento previdenziale. Perché quando i soldi mancano un governo alle strette (come era Amato nel '93) ce le mette eccome le mani nelle tasche dei pensionati. E non crediamo che Amato lo abbia fatto per cattiveria: semplicemente non aveva scelta. Qualche altro governo, in futuro, se non cambia qualcosa, si troverà a non avere scelta. I partiti sono timidi sul tema. Perché in passato si sono colpiti l'un l'altro a botte di demagogia. Quando Berlusconi provò a fare una vera riforma organica della previdenza, nel '94, si trovò Roma invasa da una megamanifestazione e in poche settimane il governo cadde. I partiti, da soli, non ce la fanno. Aiutiamoli a uscire dalla trappola demagogica in cui si sono spinti a vicenda. Forse questa volta più che mai serve la voce dell'informazione, per tirar fuori dalle contese politiche dell'oggi la possibilità di vita dignitosa per milioni di persone domani.