di PAOLO TOMEI IN PENSIONE più poveri e più vecchi.
Nonostante la maggioranza si divida sul tema - con i Ds favorevoli a Comunisti italiani e Rifondazione, invece, riluttanti - sembra chiaro l'intento del centrosinistra di mettere le mani in tasca anche agli anziani. Dopo aver varato una Finanziaria totalmente incentrata sulla tassazione, il governo sta ora pensando all'ennesima riforma. E, anche in questo caso, a pagare saranno i più deboli: anziani e pensionati. Allo studio del ministro del Lavoro ci sono varie opzioni: l'abolizione dello scalone, l'ipotesi di innalzare l'età per la pensione di vecchiaia, equiparando le donne agli uomini. Ma sembra che il governo voglia spingersi anche oltre. Pur di far quadrare i conti pubblici, il centrosinistra sarebbe disposto a spremere fino in fondo gli anziani. Non riuscendo a tagliare la spesa pubblica e conscio del fatto che la lotta all'evasione porterà risultati - ammesso sempre che li ottenga - non certo nell'immediato futuro, Palazzo Chigi sembra essere convinto che l'unico modo per aggiustare il bilancio sia colpire coloro i quali stanno per uscire dal lavoro e i pensionati. Il punto di partenza per la riforma della previdenza dovrebbe essere il memorandum sottoscritto con i sindacati. Nel documento si afferma che l'aumento delle aspettative di vita e la precarietà del lavoro hanno «determinato condizioni nuove sul sistema previdenziale». Di qui la conclusione: tagliare gli assegni e alzare l'età pensionabile. Per quanto riguarda il primo aspetto, è allo studio la revisione degli indici di rivalutazione del montante contributivo, il che significa una sensibile diminuzione delle pensioni. La ratio inerisce a un generale riequilibrio della spesa previdenziale. Gli studi degli ultimi dieci anni dimostrano, infatti, che, a fronte di un'innalzamento dell'età media degli italiani e della crescente precarietà del lavoro, l'assetto complessivo del sistema previdenziale sarebbe ormai al collasso e, per far quadrare i conti, due sole sono le soluzioni: abbassare le pensioni e ritardare il più possibile l'uscita dal lavoro. Per quanto riguarda questo punto, il centrosinistra sta studiando un modo per superare lo «scalone» previsto dalla riforma Maroni (che ha bloccato le uscite dal lavoro dal 2008 al 2010 escludendo però coloro che avranno 40 anni compiuti) con l'introduzione di un meccanismo graduale di avvicinamento, anche con l'innalzamento, per l'assegno di anzianità, dell'età minima pensionabile della riforma Dini da 57 a 58, o 59, anni. Sarà così consentito comunque il pensionamento sotto i 60 anni d'età, ma ricorrendo a disincentivi per ridurre gl'importi degli assegni incentivando coloro che hanno superato i 60 anni. L'obiettivo è arrivare a un sistema pensionistico con un maggiore libertà di scelta, ma anche ritardare il più possibile, disincentivandola, l'uscita dal mondo del lavoro. A questo proposito, ma per quanto attiene all'assegno di vecchiaia, il governo vorrebbe equiparare l'età pensionabile delle donne (ora 60 anni) a quella degli uomini (65 anni). Allo studio anche l'ipotesi di eliminare la restrizione al lavoro degli anziani superando il divieto di cumulo. Tra le altre ipotesi, anche quella di istituire il passaggio al sistema contributivo pieno per tutti i lavoratori. Collegate alla riforma del sistema pensionistico, anche un prelievo straordinario sugli assegni più alti, una stretta sulle categorie previdenziali privilegiate, l'aumento delle aliquote contributive di circa 3-4 punti per i parasubordinati, l'accelerazione della riforma del Tfr da estendere anche agli statali.