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Nel bilancio di viale Mazzini mancano 221 milioni. Gentiloni sarà costretto ad aumentare la tassa

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Un rincaro senza precedenti. Negli ultimi anni, infatti, la tassa televisiva aveva seguito più o meno il costo della vita. Stavolta, invece, si parla del 14,9% in più. Si passerebbe da 99,60 euro a 114,60. La novità è emerso nell'ultima riunione della commissione di Vigilanza Rai. Complice l'ora tarda e l'attenzione tutta centrata sul decreto fiscale del governo, la notizia è passata sotto silenzio. Stranamente. A sollevare il caso è stato Mario Landolfi, che nel governo Berlusconi è stato ministro delle Comunicazioni e oggi è presidente della commissione parlamentare di controllo sui servizi radiotelevisivi. Landolfi ne ha chiesto conto all'attuale titolare delle Comunicazioni, Paolo Gentiloni, ospitato in Vigilanza per una audizione sul disegno di legge che porta il suo nome. Come si arriva a queste cifre? Semplici operazioni algebriche. Il consiglio di amministrazione della Rai, per la prima volta, ha provveduto ad adottare la contabilità separata, come prescritto dalle linee guida approvate nell'agosto scorso dall'Autorità per le telecomunicazioni. In sostanza, la tv di Stato ora ha due bilanci: uno per le attività generaliste, che vengono finanziate attraverso gli introiti pubblicitari; l'altro per il servizio pubblico, che è sostenuto con il canone pagato dagli utenti. Ebbene, in questo secondo resoconto mancano 221 milioni di euro. Per ripianare il debito, la Rai chiederà al ministro delle Comunicazioni di aumentare il canone. O meglio, sarà la commissione paritetica, formata da rappresentanti di Viale Mazzini e del governo, a formulare la proposta di aumento. Toccherà poi a Paolo Gentiloni firmare il decreto comprensivo, o meno, del rincaro. Salatissimo. Una scelta difficile. Soprattutto guardando i precedenti. Negli ultimi cinque anni, Largo Brazzà ha resistito alle richieste del cda Rai di rimpinguare il canone, agganciandolo a malapena all'aumento dell'indice dei prezzi. E Gentiloni, cosa farà? Nel corso dell'audizione in Vigilanza, il rappresentante dell'esecutivo ha minimizzato, parlando di aumenti non drammatici, ma di semplici adeguamenti all'inflazione. Né più né meno. Rimane aperta la questione del buco nel bilancio finanziato con il canone. E Gentiloni starebbe pensando di proporre un'alchimia contabile: ridurre il numero dei programmi che rientrano nella categoria del servizio pubblico e aumentare quelli sostenuti dalla pubblicità. Attualmente, il contratto di servizio stipulato tra Ministero e Rai ne prevede undici generi. Una bella sforbiciata potrebbe far quadrare i conti e ridurre sensibilmente la richiesta di aumento del canone televisivo. L'alternativa sono rogne. Da ogni parte. Alle critiche, scontate, del centrodestra, rischia di aggiungersi anche un fronte interno alla maggioranza. I Verdi hanno già annunciato battaglia se il ministro deciderà di mettere mano al canone Rai. Minacciano di scendere in piazza. E chiedono esenzioni per poveri e anziani. Ma in generale si sa che il canone Rai, stando a una recente indagine, è la terza tassa più odiata. Per giunta il consenso del governo è in caduta libera e la sua flessione è dovuta proprio all'aumento della pressione fiscale decisa nelle ultime settimane. Ora sta a Gentiloni decidere. E ha poche ore per farlo: il decreto deve essere firmato entro novembre.

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