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Le «Esteri» sono già una «larga intesa»

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Che ci fa il leader della destra a colloquio con l'uomo che tiene i rappporti con il mondo per conto di Rifondazione comunista? Che ci fa il capo del partito «legge & ordine» con colui che portò in Italia il terrorista Ocalan? I due ridevono, scherzavano, sembravano in confidenza. Ma che si dicevano? «Con Ramon? Nulla, si parla», dice Fini. «Con Fini? Ci si confronta. Il confronto si fa con chi la pensa in maniera diversa da te, quindi.... E poi mi pare normale, siamo tutt'e due nella commissione Esteri...». E che vuol dire? Vuol dire, vuol dire. Nella commissione Esteri tradizionalmente ci vanno i big, i leader che certo non possono essere alle prese con le vicende quotidiane. No, loro no. Si confrontano con il mondo, con le grandi questioni che affliggono l'umanità. Ed è per questo che l'organismo che si occupa di politica internazionale è un club a parte, a tratti sembra una setta, quasi una lobby. Insomma, una piccola larga intesa. Si stabliscono rapporti trasversali. Anche perché nelle commissioni non possono entrare i giornalisti e nemmeno le telecamere: ce n'è sola una fissa. Non ci sono sguardi inidiscreti e i politici si parlano più liberamente. A Montecitorio, la commissione è presieduta da Umberto Ranieri, il pupillo di Giorgio Napolitano. E ne fanno parte Silvio Berlusconi e il suo uomo per la politica estera, Valentino Valentini. L'erede di Bossi Giancarlo Giorgetti e Roberto Maroni. Pier Ferdinando Casini, che ha già detto che il suo sogno sarebbe quello di fare il ministro degli Esteri (ma di quale governo?) e il segretario del suo partito Lorenzo Cesa, e naturalmente l'ex titolare della Farnesina Fini. E poi: il dalemiano Giuseppe Caldarola e il segretario dei Ds Piero Fassino. I margheriti Sergio Mattarella e Giorgio Merlo. Al Senato è la stessa musica: la terza commissione è presieduta da Lamberto Dini, uno che è stato ministro del Tesoro con la destra e premier con la sinistra. Nella sua maggioranza ci sono il rutelliano di sinistra Antonio Polito e il sinistro Furio Colombo. Ci sono Armando Cossutta e Giulio Andreotti. Ma anche Marco Follini, Marcello Pera e Beppe Pisanu. E non è un caso dunque che Berlusconi abbia chiamato i suoi amici americani per dire loro che si potevano fidare di D'Alema, il cui operato è stato poi promosso poi da Valentini. E non è nemmeno un caso che Fini e il successore si sono beccati qualche volta, ma mai scontrati. E sull'aereo Baffino ha spesso ospite Dini. Per dovere istituzionale, si dirà. Insomma, sulla politica estera volano messaggi, intese che viaggiano sopra la testa di Prodi. Il Professore l'ha capito e ha provato a «commissariare» il capo dela Farnesina. S'è mosso tardi, molta strada era già compiuta. F. D. O.

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