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Il summit nel Casino del Cavaliere

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Berlusconi decise il restauro. Dopo anni di abbandono era in pessimo stato

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E lì si fermano. Più dentro al capolavoro risultano i proprietari di cani: chi, tra quest'ultimi, non vanta nel suo background animalista una passeggiata lungo gli incliti viali disegnati dallo scultore bolognese Alessandro Algardi e dal suo sodale, il pittore Giovanni Francesco Grimaldi? Tutto incominciò con l'ascesa al Soglio di Pietro di Innocenzo X (1644), al secolo Giovanni Battista Pamphilj, fieramente intenzionato a dotare la sua famiglia, oltre che del palazzo di Piazza Navona, anche di una villa fuoriporta unica al mondo. Disse al nipote, l'ex cardinale Camillo, divenuto marito della famosa Olimpia Maidalchini (Pimpaccia in romanesco): «Occupatene tu, che t'intendi d'arte, che alle spese provvedo io». Don Camillo, che non aspettava altro ci si mise di buzzo buono. Per il progetto, sentì prima il Bernini, poi il Borromini, ma alla fine si decise per il duo di scuola carraccesca Algardi-Grimaldi. Al pontefice-zio confidò: «L'Algardi è stato ragazzo di bottega da un insigne orafo. È l'uomo che fa per noi. Ci darà una villa-gioiello». E così fu. Il risultato, nonostante l'aggressione vandalica (con mutilazione) dei lavori dell'Olimpica nel 1960, è sotto gli occhi di tutti. Un capolavoro senza eguali. E dire che l'Algardi era soprattutto uno scultore specializzato nel restaurare statue antiche, ma a Villa Pamphilj si superò. A fianco del Casino principale edificò, come si usava a quel tempo, un pied-à-terre personale (vedi la Casina del Valadier a Villa Borghese), dove dimorò nel decennio dei lavori. A opera ultimata, la magnifica palazzina, affollata di opere preziosissime della classicità, tornò ai legittimi proprietari. I Pamphilj la elessero a dépendance, un luogo di frescura in cui trovare refrigerio durante i giorni delle terribili «callacce» romane. L'architetto Giorgio Pes, cui dobbiamo molto in ordine alla conoscenza delle sorti lontane e recenti della Palazzina Algardi, dice: «Fu Berlusconi a ordinare il restauro della splendida costruzione che anni d'abbandono avevano ridotto in pessimo stato: degrado, sporcizia ovunque. Tutte le statue decapitate. Una scena vandalica. Tenuto conto che la palazzina era di proprietà di Palazzo Chigi, l'allora premier Berlusconi mi commise l'incarico di restaurarla a dovere. Cosa che facemmo con estrema cura e sommo rigore filologico. Vada a vederla ora e mi dica che ne pensa. Sta di fatto che sotto il consolato del Cavaliere, la Palazzina Algardi poté accogliere, a volta a volta, Putin, il presidente tunisino Ben Alì e, mi pare, anche Aznar».

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